Tre indizi fanno prova: su migliaia di lavoratori Alitalia sta per abbattersi la scimitarra di Etihad. Lo dimostrano, nell’ordine, il comportamento del governo Renzi, nell’occasione con il volto di Maurizio Lupi che implora per l’ennesima volta di non inseguire le indiscrezioni di stampa. A ruota arrivano i vertici dell’ex compagnia di bandiera italiana, Roberto Colaninno e Gabriele Del Torchio, che dopo aver discusso per l’intera giornata a Milano con i soci di Cai-Alitalia e le banche creditrici – alcune di loro anche socie – cercano di evitare i giornalisti uscendo di soppiatto da una porta secondaria. Una volta scoperti, si limitano poi a un “niente da dichiarare” che la dice lunga sulla difficoltà della situazione.

Infine c’è il surreale incontro fra il management Alitalia e i sindacati confederali di categoria, in teoria per discutere di altri 48 milioni di risparmi previsti dal piano industriale della compagnia sul fronte del costo del lavoro, nelle pieghe di un accordo firmato solo due mesi fa. Ma in realtà incentrato sulla lettera di inizio settimana con cui Etihad è tornata in pista. Lettera della quale, almeno ufficialmente, non si sarebbe parlato (?). Salvo poi scoprire, fra mezze parole strappate a fatica ai delegati sindacali, che i vertici di Alitalia puntano a ridurre gli “esuberi strutturali” a circa duemila unità. Perché la compagnia degli Emirati Arabi Uniti vorrebbe mandare a casa addirittura tremila lavoratori.

Trova così conferma lo scoop del quotidiano “Il Messaggero” che, all’indomani della lettera della compagnia araba, ne ha puntualmente riportato i tratti salienti. Compreso il più delicato, del quale il ministro Lupi non vorrebbe parlare. Quello che riguarda la richiesta di Etihad di cancellare dall’organico altre migliaia degli attuali 14mila addetti Alitalia, già sopravvissuti alla falcidie del 2008 quando dall’azienda ne uscirono, per non ritornarvi più, almeno settemila.

Per giunta la compagnia araba chiede un intervento diretto del governo Renzi, che dovrebbe attivare un fondo da 24 milioni di euro per gestire la cassa integrazione e la mobilità per i nuovi “esuberi strutturali”. In modo da poter entrare in Alitalia, con circa il 40% delle azioni e una spesa di circa 500 milioni, con il personale già ridotto e senza il pericolo (per Etihad) di un “effetto rimbalzo”, legato al complesso e frastagliato accordo firmato alla fine di febbraio dai vertici della compagnia e da tutte le sigle sindacali. Un’intesa che non prevede alcun esubero definitivo, ma cassa integrazione a rotazione e contratti di solidarietà per 9.120 addetti.

A ulteriore riprova dell’estrema delicatezza del tema dell’occupazione in Alitalia, nell’incontro milanese fra Colaninno, Del Torchio e le banche creditrici della compagnia – Intesa San Paolo, Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio, le prime due anche azioniste – e gli altri principali soci della compagnia, sono state confermate le anticipazioni della lettera di Etihad sul fronte della ristrutturazione del debito, e sui principali scali italiani che la rinnovata compagnia aerea utilizzerebbe. In sostanza dagli Emirati si chiede alle banche creditrici la trasformazione in azioni di circa 500 milioni di debiti Alitalia (su circa 900 complessivi), e un ulteriore sforzo per cancellare le altre pendenze pregresse e far tornare l’ex compagnia di bandiera italiana in linea di galleggiamento. Confermata anche la richiesta al governo, che ha già dato il suo via libera di massima, di un decreto ad hoc per la liberalizzazione dello scalo milanese di Linate, considerato da Etihad come strategico al pari dell’hub principale di Fiumicino.

Lunedì Del Torchio e Colaninno voleranno ad Abu Dhabi per affrontare un nuovo round della trattativa, che si annuncia particolarmente difficile e che vede i vertici di Alitalia nella scomodissima posizione di chi non ha strategie alternative all’alleanza con Etihad. Per giunta gli arabi hanno puntualizzato nella loro lettera che, se la trattativa non dovesse andare in porto, nessuno potrà chiedere ad Etihad di essere chiamata in giudizio per responsabilità precontrattuale. Mentre, sul fronte sindacale, Filt Cgil & c. ribadiscono che l’unica trattativa ufficiale è quella legata al piano industriale di febbraio. E che, anche su questo punto, “non è possibile parlare di ulteriori misure per ottenere i risparmi richiesti dall’azienda (i 48 milioni, ndr), senza la condizione imprescindibile di un piano di sviluppo della compagnia”.