Per alcune settimane ha tenuto banco all’Eliseo (che dello spettacolo è anche produttore), ora raccoglie successo e applausi ogni sera al teatro Torbellamonaca (ancora stasera e domani pomeriggio, e vale la trasferta oltre il raccordo anulare). Protagonista è una donna, scienziata, ebrea, che è stata fondamentale nel secolo appena trascorso per gli studi sul Dna, anche se per motivi facilmente immaginabili, non ha ottenuto il riconoscimento che avrebbe meritato. Anzi, i risultati raggiunti grazie alle indagini di lei hanno valso il Nobel a tre suoi colleghi, che delle sue scoperte avevano fatto tesoro e pubblicazioni. Tutto questo oggi è uno spettacolo che fin nel titolo accomuna il nome della fantastica scienziata e il terreno fecondo delle sue ricerche: Rosalind Franklin, Il segreto della vita. Pochi anni dopo sarebbe morta di cancro alle ovaie, a causa dell’eccesso di radiazioni che l’aveva contaminata nelle sue ricerche.

Il testo firmato da Anna Ziegler giovane commediografa americana (e curato drammaturgicamente nell’edizione italiana da Nicoletta Robello), si inserisce in quella robusta vena anglosassone che porta in scena, tra biografia e storia del pensiero, i grandi temi, i personaggi e gli sviluppi della scienza. Caposcuola rimane Copenhagen di Michael Frayn, che rappresentava i padri della bomba atomica attraverso i loro dialettici percorsi e discorsi amicali. Qui c’è in più la testimonianza su una «ingiustizia» (il Nobel assegnato ai suoi colleghi concorrenti) subita da una donna, caratterialmente forse «difficile» ma lungimirante e geniale, la Franklin appunto. Al suo personaggio, scontroso ma pure assai intrigante, dà corpo una sorprendente Asia Argento, che spazza via l’immagine ferale con cui conduceva una recente trasmissione tv (per altro anche quella «dalla parte delle donne»), e che qui si diverte invece a una ferrea consegna del riserbo, molto british, con cui ammanta e difende pulsioni, sentimenti e intuizioni del personaggio.

A Londra protagonista della messinscena era niente meno che Nicole Kidman, che la critica inglese ha definito però troppo algida per trasmettere la passione, scientifica ma non solo, di Rosalind. Qui la vitalità della sua intelligenza è solo schermata, con ironia sorridente, rispetto alla primaria tensione scientifica. La regia di Filippo Dini, attore già pienamente maturo che si è rivelato da qualche tempo regista dalla mano altrettanto sicura, orchestra con precisione quasi musicale tutte le variazioni del maschile nel laboratorio della ricerca e della scienza. Lui stesso è il suo «capo mancato» al King’s College, e poi i colleghi invidiosi di Cambridge che scippano a lei la primogenitura della foto genetica del Dna, l’assistente buono al limite del gaffeur, il dottorando Usa che riesce a aprirsi un varco nelle difese del cuore di lei.

Una umanità che oggi ci appare perfino mitica, sebbene siano passati solo sei o sette decenni, in cui però, soprattutto da noi, anche nella ricerca si sono infognati favori e corruzione. Paolo Zuccari, Alessandro Tedeschi, Dario Iubatti e Giulio Della Monica vanno citati tutti, come la bella scena circolare e rotante di Laura Benzi.