Leo (4 anni) con fatica trasporta una grossa radice pescata nella catasta di legna dietro al fuoco mentre Maria (3 anni e mezzo) osserva una lumaca che lentamente si sposta fra le grosse spine di un cactus. Sofia (5 anni) sta sull’amaca: a lei la mattina piace dondolarsi. Altri due in fondo allo slargo si arrampicano su un alto ammasso di rami intrecciati (sembra che stiano per cadere ma non cadono). Accanto a loro, su una lavagna coperta dalla brina mattutina sono sillabati nomi di animali divisi in due colonne: quelli che prendono il latte della mamma e quelli che, no, non lo prendono. Tommaso, il CO-NI-GLIO, intanto saltella proprio lì, accanto alla lavagna. Un grande fuoco nel braciere ci riscalda un po’ tutti perché la mattina, in campagna d’inverno, fa freddo. È l’inizio di un qualunque giorno della settimana e i bambini arrivano all’Asilo nel bosco di Ostia antica. I genitori si fermano qualche minuto, aspettano e quando li vedono tranquilli se ne vanno. Questa però non è una scuola qualunque. Questo è un luogo in cui la didattica scaturisce dalla vita all’aria aperta. Si sta fuori tutto il giorno e si cresce imparando a osservare il mondo senza un programma prestabilito, né banchi e seggioline, senza ritmi forzati per tutti e che a tutti debbano andare bene.

Fu una donna, Ella Flatau, che nel 1950 in Danimarca per prima ebbe l’idea di formare un Walking Kindergarten in cui la passeggiata era parte integrante del curriculum. Da allora la Scuola nel bosco, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, si è diffusa in Svezia, in Germania (i Waldkindergarten che ricevono anche fondi dallo stato), in Austria, in Inghilterra e in Italia. Qui pioniera è stata l’Emilia Romagna che per prima ha avviato un progetto di vera e propria Outdoor Education. E così poi si è concretizzata anche l’esperienza di Ostia antica.

asilonelbosco
Uno dei riti fondamentali che scandiscono la giornata è la passeggiata nel bosco. Il bosco come ecosistema in cui coesistono il tempo atmosferico, le piante e gli animali, il bosco magico e fantastico tanto narrato nella letteratura per ragazzi (dai fratelli Grimm al senza-bosco Marcovaldo), il bosco degli alberi che, come i bambini, crescono e cambiano aspetto con le stagioni e con la luce, il bosco infine come quello del lago Walden superbamente descritto da Thoreau a metà dell’Ottocento. Su quegli alberi ci si arrampica ma si possono anche inseguire piccoli animaletti lenti o velocissimi dai quali assimilare patrimoni immensi di conoscenza. Non piccole maialine parlanti ma veri vermi, libellule, girini, rospi, ragni e lumache che si ritroveranno nel favoloso prato di Arrietty ma anche nelle pozioni del maghetto Potter. Ecco che parole come coleottero o quercia diventano più familiari dei nomi dei Pokemon ed ecco che sporcarsi di terra o cadere nell’acqua non sono più guai. E poi comunque ci sono le galoscine.

All’entrata del piccolo ambiente interno un posto speciale è riservato alla scaffalatura su cui sono riposti tanti lillipuziani guanti, cappellini e stivaletti di gomma, insomma l’equipaggiamento indispensabile per stare fuori. La radice che diventa uno strumento musicale, o il muschio per fare le polpette: l’assenza di giochi strutturati (con colori, materiali e peso concepiti apposta per il bambino) lascia spazio alla noia, a momenti sospesi dai quali scaturisce sempre un’idea. Il tempo lento della natura è il tempo lento dei bambini: la lumaca che procede sul tronco diventa un evento memorabile per la scia vischiosa che lascia dietro di sé («che schifo!») ma anche perché procede impavida su una corteccia piena di asperità («ma come fa?») e per quelle sue piccole antenne che aumentano e diminuiscono come telescopi. L’inatteso, il non-programmato diventano l’elemento fecondo di una nuova didattica che ha fra le sue implicazioni anche lo stimolo all’amore per l’ambiente che smette così di essere un’entità astratta imparata sui libri e diventa mondo vero, reale, quello dell’acqua che ti sta bagnando i piedi o dei sassi, che se ci cammini sopra ti fai male.

E poi nel bosco c’è il silenzio. Il silenzio della solitudine che a volte i bambini cercano nell’isolamento e quello che apre le porte alle avventure più belle: da sola Chihiro entra nella città incantata di Miyazaki lasciandosi alle spalle i genitori che sconciamente si abbuffano fino a diventare enormi maiali e da sola Nausicaa della valle del vento ammansisce e domina giganteschi e orrendi insetti mutanti che invadono la terra. Sono sole perché spesso i bambini, lasciati in pace, fanno cose fantastiche, lontani da adulti che correggono, aiutano, suggeriscono, vietano o premiano. Qui all’Asilo nel bosco si accetta l’imprevedibilità dello spazio esterno, si sta fuori e non dentro. Invece di imparare a pensare che ciò che è dentro (famiglia, asilo, case degli amici) è buono e quel che è fuori è pericoloso si impara a gestire se stessi, si impara a cadere e a rialzarsi, si capisce quali siano le proprie forze per arrampicarsi e si sviluppa l’empatia indispensabile per stare in un gruppo. Il sovraccarico di socialità cui anche i piccoli sono costantementi esposti viene ridimensionato, l’uso della tecnologia trova una sua giusta collocazione.

I cosiddetti iperattivi o affetti da Adhd (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder) invece che col metilfenidato migliorano correndo nel prato, cavalcando l’asino e arrampicandosi. Così dice il maestro Paolo, mentre con una padella in mano si avvia – seguito da un gruppetto di piccoli – verso il fuoco dove si stanno per cuocere le castagne raccolte. È gentile Paolo e forse l’ha scritto lui quello che si legge su uno striscione appeso da una parte: praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso. E tu pensi che qui forse c’è un’infanzia giusta. Non iperprotetta, né abbandonata, né adultizzata o spettacolarizzata. Giusta.