Che il rilancio di un territorio si realizzi «anche» con «la cultura», se non proprio una chimera, resta troppo spesso un convincimento poco condiviso da quei nostri amministratori accecati dal consenso e con papille gustative tarate sul grande evento. Tanto che sorprende positivamente l’accoglienza della quinta edizione de I teatri del sacro ad Ascoli Piceno, dove per otto giorni l’indagine sulle pratiche sceniche (19 nuovi spettacoli) si è coniugata alla riflessione sulla spiritualità e sul sacro. Migrato da Lucca, la cui amministrazione è sempre rimasta estranea al suo sostegno, il festival è approdato in questa zona colpita da dieci mesi di terremoti con la volontà dei suoi organizzatori di partecipare alla ricostruzione culturale e fornire uno strumento di coesione sociale. Certo è stato l’occasione per riscoprire una città d’arte con i suoi palazzi e chiese, e lasciarsi abbagliare dal biancore del travertino. Poco conosciuta, Ascoli è un «bene comune», ne è convinto il direttore artistico, Fabrizio Fiaschini, soddisfatto della nuova sede, anche per il sostegno del Comune affiancatosi al finanziamento della Cei, e della risposta degli spettatori con tutti i posti esauriti.

Complice l’entrata libera, al Teatro Ventidio Basso le maschere addette all’accoglienza non vedevano occupati platea e palchetti da data immemorabile. A riprova di quanto incida sul «consumo di cultura» la politica del costo dei biglietti. Sul palco Giovanni Scifoni ha divertito il pubblico con il suo pruriginoso Santo piacere – Dio è contento quando godiamo, regia di Vincenzo Incenzo. Si direbbe un confronto dai toni comici con le scritture sacre, agiografiche e agostiniane, ad uso di un auditorio consenziente a ridere delle proprie difficoltà nel conciliare fede e sesso.

Con una carrellata di scene dal ritmo televisivo, ma più spinto nelle scelte tematiche e nel linguaggio – la povera suora, seduta nel palchetto accanto, ha mostrato ripetute insofferenze – e costruito dal punto di vista di un cattolico praticante, eterosessuale maschio. Se non fosse per la bravura dell’attore romano sarebbe stata intollerabile quella sequela di luoghi comuni, compresa malattia e morte della madre nel finale.

Di tutt’altro tenore poetico è Il desiderio segreto dei fossili del mare di Maniaci d’Amore, il duo siciliano-pugliese, ma torinese d’adozione, il cui lavoro avevamo evidenziato nella giuria di Tuttoteatro.com per il Premio Cappelletti. Qui la coppia ha accolto un terzo attore, deus ex machina che, dalla tv, si materializza per le due sorelle – sublime Francesco d’Amore en travesti – in un paese di pietra e privo d’acqua, portando con sé l’elemento vitale. Oscilla tra paura e desiderio, questa favola delicata e divertente, dura come la vita. E si ride ancora con il quartetto, in cui spicca una brava Paola Tintinelli, di Coma quando fiori piove dei milanesi Walter Leonardi e Carlo Gabardini. La festa dei cinquant’anni per fare il punto sulla propria esistenza. Una caduta, il coma e – di nuovo – la morte della madre: la sacralità di quel cordone ombelicale impossibile da tagliare.