La notizia è di quelle che fanno venire i brividi, anche a ripeterla più volte. Ma non è confermata. Secondo quanto divulgato ieri dalle agenzie di stampa italiane e rilanciato da tutti i siti nostrani ma non da quelli internazionali, fatta eccezione solo per qualche testata minore anglofona, una ragazzina 17enne olandese, Noa Pothoven, afflitta da tempo da una depressione incurabile dovuta alle conseguenze psicologiche di due stupri subiti da bambina, si sarebbe sottoposta ad eutanasia nel suo Paese.

Quel che si sa per certo, invece, è che l’adolescente, che era affetta da manie autolesioniste e da anoressia, e aveva già tentato il suicidio, è morta domenica nella sua abitazione di Elderveld, assistita da medici di una clinica autorizzata anche per l’eutanasia. Ma sembra più probabile, da quanto si riesce ad apprendere, che la ragazza si sia lasciata morire di fame e di sete, e che solo nelle ultime ore sia stata accompagnata nella morte con sedazione profonda. Se così fosse, non si tratterebbe affatto di eutanasia, dunque.

NOA, 17 ANNI e un visino d’angelo, aveva raccontato la sua storia in un libro autobiografico «Vincere o imparare»: era stata aggredita per la prima volta all’età di 11 anni e violentata da due uomini quando aveva solo 14 anni; fatti questi, che aveva nascosto a lungo ai suoi genitori perché si vergognava.

Secondo il quotidiano olandese Algemeen Dagblad, l’anno scorso Noa Pothoven avrebbe tentato di ottenere in una clinica dell’Aja l’autorizzazione ad essere sottoposta ad eutanasia senza il consenso dei suoi genitori (che si opponevano). In Olanda, dove l’eutanasia è legalizzata dal 2002 (è stato il primo Paese europeo a varare la norma), dal 2004 il «protocollo di Groningen» concede la «dolce morte» in casi particolari anche ai minori dai 12 anni in su, ma previo consenso parentale e solo in presenza di certificati medici che accertino una sofferenza insopportabile, anche psichica, e senza possibilità di guarigione.

NEL SUO ULTIMO post su Instagram la 17enne olandese aveva scritto di aver preso una decisione «definitiva»; dopo tante «discussioni e ripensamenti» di aver quindi smesso di mangiare e bere perché la sua sofferenza era diventata «insopportabile». «Ho questo piano da tanto tempo, la mia non è una decisione impulsiva», aveva puntualizzato. E aveva annunciato che sarebbe «morta entro 10 giorni». Perché, aveva scritto, «respiro, ma non sono più viva».

Naturalmente la notizia ha fatto molto scalpore in Italia, e molti esponenti della destra pro-life hanno colto immediatamente l’occasione per attaccare la libertà di decidere come morire. «L’Italia si batta per cambiare verso a un’Europa mortifera, fatta di mostri impegnati a far trionfare la denatalità, a cancellare la famiglia naturale, a sostituire il lavoro con l’automazione, l’economia con la finanza, la vita di una ragazza di 17 anni con l’eutanasia», ha sentenziato – uno per tutti – Fabio Rampelli, di FdI.

MA ANCHE LA RADICALE Maria Antonietta Farina, presidente dell’Istituto Luca Coscioni, avverte: «Prudenza. Ci vuole prudenza. Quanto in un caso di depressione o di un grande disagio psichico la scelta dell’eutanasia o del suicidio assistito è realmente libera? Serve prudenza». Prudenza a dare un giudizio su una storia dai contorni poco chiari e sulla vita altrui è quanto suggerisce invece l’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, che chiede: «Quanto tempo ancora passerà affinché in Italia sia colmato il vuoto di tutela di diritti evidenziato dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza sul caso Cappato, e si vari finalmente una legge sulla legalizzazione dell’eutanasia?».