A 24 ore dalla scadenza dell’ultimatum renziano, entro la giornata di oggi o al più tardi domani mattina, Berlusconi ancora non ha deciso come rispondere. Ieri ha tentato il rilancio, incaricando prima Brunetta e poi Toti di lanciare un messaggio preciso, corredato tra le righe da ancor più precisa proposta. Legge elettorale approvata a spron battuto, ma sul testo già votato dalla camera, cioè col premio di maggioranza assegnato alla coalizione e non alla lista, altrimenti ci vuole il tempo necessario per concordare le modifiche. «Se il testo è quello uscito dalla camera siamo pronti ad approvarla anche domani, altrimenti i cambiamenti vanno valutati insieme in commissione». È una proposta che probabilmente Renzi non accetterà, avendo ormai scommesso tutto sul premio di lista.

Il prevedibile niet di palazzo Chigi metterà Berlusconi nella necessità di scegliere, e non è un lavoretto facile. I bene informati riferiscono che ieri mattina Confalonieri, a nome dell’azienda, si sia attaccato al telefono esortando il capo a concedere a Renzi ciò che chiede in nome di ben precisati interessi superiori. In caso contrario, infatti, la rappresaglia del garbato inquilino di palazzo Chigi potrebbe essere micidiale, e naturalmente prenderebbe di mira non il partito ma l’azienda. Nella stessa mattinata, però, anche il capo dei deputati Brunetta si è sentito in obbligo di mettere in guardia l’eccellentissimo, spiegandogli che stavolta lui sul comportamento dei deputati non è in grado di garantire. Ieri il leader dei dissidenti Fitto è tornato alla carica: «Fi ha il diritto e il dovere di aprire una discussione al suo interno, con Berlusconi, sulla legge elettorale». Il punto dolente, però, è che per l’occasione le truppe del pugliese, già cospicue, potrebbero moltiplicarsi di fronte a un cedimento su tutta la linea.

I nodi irrisolti sono due. I dissidenti vogliono il pollice verso per il premio di lista. Molti altri sarebbero invece disposti, obtorto collo, a ingoiare la norma che fa di Renzi il sicuro vincitore della prossima sfida elettorale, ma solo con la garanzia di evitare il voto nella prossima primavera, dunque con tempi rallentati. È vero che votare prima di aver portato a termine la riforma del Senato significherebbe ficcarsi in un ginepraio al cui confronto il Porcellum apparirebbe un modello di limpida geometria costituzionale, ma ciò non basta a tranquillizzare i ribelli: «Ma chi l’ha detto che Renzi non può andare alle elezioni con due sistemi diversi per camera e senato? Il voto importante sarebbe quello per la camera, con l’Italicum, e trainerebbe anche il voto sul senato», argomenta Augusto Minzolini, uno dei più drastici nell’esortare il capo ad affossare il Nazareno.

Se Berlusconi si dibatte in lacerante dilemma, non è che il socio stia messo molto meglio. Sulla vicenda è piombato ieri l’articolo di Stefano Folli, giornalista notoriamente vicinissimo al Colle, che annunciava le imminenti dimissioni di Napolitano. Che quell’articolo sia stato ispirato dal Quirinale è al di là di ogni dubbio. Che il presidente-quasi-uscente volesse in questo modo spingere i partiti ad accelerare il passo è quasi altrettanto certo. Ma se Napolitano metterà davvero in pratica quanto dettato a Folli, per Renzi sarà un guaio serio. Il nuovo presidente verrà eletto da queste camere: con i ribelli del Pd liberi di muoversi protetti dal voto segreto e senza più accordo con Fi, non gli sarà facile decidere chi succederà a re Giorgio.

Non è l’unico problema col quale Renzi dovrebbe fare i conti una volta persa la rete di protezione del Nazareno. La chimera di un accordo in extremis con il M5S ha resistito meno di 24 ore. Dunque la sola via sarebbe imporre la legge elettorale a maggioranza. Però, una volta diventati determinanti, sia l’Ncd che la minoranza Pd alzerebbero vertiginosamente il prezzo. Anzi, lo hanno già fatto. «Avanti anche senza Fi», tuona bellicoso Lupi per l’Ncd. Ma aggiunge che una soglia di sbarramento al 5 per cento sommata al premio di lista «è inaccettabile». Guarda caso l’abbassamento della soglia, «possibilmente al 3», è anche una delle condizioni poste da Chiti, cioè dalla minoranza Pd. Le altre sono: il divieto di presentarsi in più circoscrizioni, l’elezione di tutti i deputati con doppia preferenza maschio-femmina e la soglia per il premio su al 40%.

Quando lunedì mattina si riunirà, per la prima volta nell’era Renzi, il vertice di maggioranza, l’esosità delle richieste sarà direttamente proporzionale al potere di condizionamento che i partiti minori e i dissidenti Pd acquisteranno se il premier non potrà contare sul soccorso azzurro. Sempre che oggi stesso Berlusconi non spiani la strada arrendendosi.