La logistica come «lente», «metodo», paradigma, razionalità, potere costituente: è attraverso queste chiavi analitiche che i contributi del numero 46 di Zapruder (a cura di Niccolò Cuppini, Mattia Frapporti e Ferruccio Ricciardi) si propongono di indagare una varietà assai ampia di fenomeni, relazioni, conflitti, i cui minimi comuni denominatori potrebbero descriversi come la circolazione, la sua organizzazione e il suo controllo.

LAVORI ETEROGENEI nella forma quanto nei contenuti, come è caratteristico della rivista, essi non sempre sono in accordo teorico tra loro, ma tutti esprimono un approccio alla logistica che va al di là del meramente «tecnico». Si tratta di una relativa novità nel panorama pubblicistico italiano: gli autori e i curatori si ispirano, almeno in parte, a un’ampia gamma di riflessioni prevalentemente in lingua inglese, elaborate nell’ultimo decennio e che appunto analizzano la logistica nella sua capacità di plasmare l’economia politica contemporanea.
Altro punto di riferimento imprescindibile, trasversale alla maggior parte dei contributi e anch’esso connaturato alla rivista, è quello delle lotte dei lavoratori: quelle che hanno interessato il settore logistico italiano a partire dal 2011, ma anche quelle determinatesi in altre parti del globo ed in altre epoche. Proprio nell’ecletticità dei contributi, e nel loro guardare alle lotte come orizzonte su cui confrontarsi attraverso la ricerca militante, sta un ulteriore elemento di innovazione, anche rispetto a molti studi critici sulla logistica di matrice anglosassone.

ALLO STESSO MODO, la tematizzazione della produzione artistica in quanto cifra rappresentativa dell’ideologia di spazio, soggettività e ri/produzione che sottende al paradigma logistico spicca per originalità. Come recita anche il manifesto del collettivo di ricerca transdisciplinare Into the Black Box, ripubblicato per l’occasione, la logistica è, tra le altre cose, «un’ideologia», ovvero uno strumento attraverso cui si va creando quello spazio liscio che è oggetto del suo discorso.

È INFINE NELLA RICERCA di profondità genealogica, auspicata dai curatori e in parte assunta da numerosi contributi, che si può rilevare il tentativo di avanzamento dell’approccio critico allo studio della logistica in quanto paradigma per l’analisi del presente. Per i curatori si tratta, in effetti, di superare quella retorica per la quale il paradigma logistico ha origine all’indomani della seconda guerra mondiale, con l’adozione del container e il superamento del sistema industriale fordista a favore del capitalismo delle supply chain. A ben guardare, sostengono diversi autori, la logistica è antica quanto il capitalismo, e non può considerarsi unicamente un prodotto del potere militare in seguito adattato alle esigenze commerciali, come hanno invece sostenuto alcuni importanti studi. Sulla scia delle riflessioni di Stefano Harney e Fred Moten, la tratta atlantica è indicata quale origine prima della logistica. Essa incarna un’operazione del capitalismo in quanto potere di razzializzazione, come ben dimostrano anche le sue attuali manifestazioni: la logistica contemporanea attinge ad un bacino di forza lavoro segmentato lungo le linee del colore e di quella categoria sfuggente quanto pervasiva che è l’«etnia».

ACCANTO AI FENOMENI di razzializzazione non possono però ignorarsi le divisioni su base sessuale e di genere, grandi assenti nel dibattito critico sulla logistica. Block the box non fa purtroppo eccezione, nonostante spesso faccia riferimento al ruolo giocato dalla logistica, e specialmente dal capitalismo delle piattaforme, nella messa a valore della riproduzione sociale, ambito in cui il genere come categoria di soggettivazione è stato ed è tutt’ora centrale. Un’altra black box, potente scatola nera i cui effetti rimangono inesplorati e che richiede l’attenzione di ricercatori e militanti.