Epoca d’oro quella dei Balletti Russi di Sergej Diaghilev, approdati a Parigi nel 1909 con i migliori danzatori, coreografi, scenografi e pittori russi del momento: uno per tutti Vaslav Nijinskij, ballerino di origini polacche, cresciuto al Teatro Marinskij di San Pietroburgo. Quando arrivò a Parigi era uno sconosciuto, dopo due settimane era diventato una celebrità. Diaghilev, da parte sua, era un impresario che sapeva come muoversi nel mondo del teatro e delle mostre d’arti, aveva un fiuto straordinario per il talento, tra i suoi collaboratori ebbe artisti come Igor Stravinskij, Anna Pavlova, Jean Cocteau, Mikhail Fokin, George Balanchine, Pablo Picasso… Se ne parla perché due titoli di balletto nati con i Balletti Russi sono in scena al Teatro alla Scala per Serata Stravinskij, diretta da Zubin Metha, ultima replica l’1 marzo.

Apre Petruška, di Mikhail Fokin, nella versione originale del 1911 rimontata alla Scala da Isabelle Fokine, nipote del coreografo. Petruška era il secondo titolo di balletto firmato da Stravinskij per i Balletti Russi, dopo L’Uccello di fuoco. Scene di Aleksandr Benois, libretto scritto dal compositore insieme allo stesso Benois, Petruška è un balletto breve in quattro quadri: è il racconto della maschera triste del carnevale russo, Petruška appunto, interpretato nel 1911 con strepitosa capacità trasformista da Vaslav Nijinskij. Il burattino dal corpo ripiegato su se stesso, il fantoccio innamorato dalla ballerina, che verrà ucciso da un colpo di scimitarra dal forzuto Moro. Il titolo era innovativo per il 1911 a partire dalla coreografia, cucita addosso da Mikhail Fokin alle caratteristiche dei personaggi.

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Non più solo punte e accademia, ma coreografie modellate sul soggetto: e così il tremebondo Petruška danza rattrappito, le spalle cadenti, i piedi all’indentro, mentre il Moro, sicuro di sé, ama movimenti aperti e punte in fuori. A governare i tre fantocci c’è un ciarlatano, che presenta alla festa il suo teatrino. La musica è una festa di ritmi che ci si intrecciano, tra citazioni di motivi popolari e leit-motiv originali come l’urlo di Petruška. Un titolo per conoscere le origini della modernità del balletto che ha come interpreti principali l’1 Nicoletta Manni (la ballerina), Gabriele Corrado (il Moro), Mick Zeni (Petruška).

Secondo titolo in programma è Le Sacre du Printemps nella versione coreografica del 1974 firmata dall’americano Glen Tetley, titolo di ritorno alla Scala dopo il debutto milanese nel 1981. Il primo Sacre risale però al 1913: la coreografia era di Vaslav Nijinskij ed è un fatto risaputo che la prima rappresentazione del balletto fu un clamoroso fiasco. Il pubblico era irritato dalla musica percussiva, ossessiva di Stravinskij, ma soprattutto dalla coreografia di Nijinskij, piena di salti a piedi paralleli, di danze di gruppo in cui ogni ballerino aveva un suo assolo, di moderne pose statiche. Gli spettatori urlavano a tal punto che i ballerini non sentivano quasi la musica, ma lo spettacolo continuò fino all’ultima nota.

La coreografia di Nijinskij venne rappresentata solo otto volte, eppure Le Sacre era destinato a diventare uno dei titoli più rivisitati della danza del Novecento, autori da Massine a Martha Graham, Maurice Béjart, Pina Bausch, John Neumeier, Angelin Preljocaj, Shen Wei, Virgilio Sieni, solo per citarne alcuni. L’originale racconta un rito di fertilità in cui una vergine deve essere sacrificata perché la terra si rinnovi. In quella di Tetley, coreografo cresciuto tra il classico e il modern, il rito cambia un po’: il sacrificato non è più una donna, ma un maschio, viene ucciso già nella prima parte del Sacre, intitolata L’Adorazione della terra, per rinascere alla fine della seconda, Il Sacrificio, e morire nuovamente con una posa che ricorda Cristo in croce.

Con Tetley grandi salti, prese in volo, contrazioni e contatto primigenio con la terra per celebrare l’energia feconda delle stagioni. Alla Scala l’eletto è in tutte le repliche il primo ballerino Nino Sutera, che in teatro ha danzato in passato con successo anche la storica versione di Béjart. Alla prima plauso per grinta interpretativa a Virna Toppi (ruolo femminile principale, al suo primo Sacre) in coppia con il vigoroso Gabriele Corrado.