Per Sam Smith, la voce soul più bella del Regno Unito – e non solo – gestire il successo eclatante dell’album di debutto In the Lonely hour, è stato un vero incubo. Quattro Grammy award, un numero imprecisato di settimane in vetta alle classifiche, tour «sold out» e perfino un oscar portato a casa per Writing’s on the wall – il tema di Spectre, l’ultimo 007 – per sua stessa ammissione – lo avevano fatto andare – «completamente fuori di testa». Complice un provvidenziale (per una volta) problema alle corde vocali si è fermato: «E ho provato a raccogliere i cocci, frequentare gli amici, divertirmi, parlare con mia madre e anche piangere per una storia finita».

Così il nuovo The Thrill of It all nasce proprio dai postumi di una «sbronza d’amore» – come cantava nei ’’70 una languida Diana Ross in fase «disco diva». Ma non è stato semplice perché per il nuovo principe del pop che si fa sberleffi dello show system e che orgogliosamente si batte sul fronte dei diritti delle comunità Lgbt, l’ispirazione ha lungamente latitato. Poi qualcosa è scattato e ha generato dieci brani (quattordici nella versione deluxe) che in qualche modo si discostano dal primo album e dalle atmosfere qua e là più danzerecce e modaiole, per concentrarsi su un repertorio decisamente adulto. Siamo dalle parti delle torch song sul solco delle grandi interpreti della musica americana, gente come Dinah Washington e Etta James per intenderci, con testi personali – storie di religione, crolli nervosi e la scoperta della sessualità. La tecnica vocale del cantante britannico è portentosa, il timbro di un tenore che sa scalare il pentagramma virando sul falsetto senza l’effetto irritante di molti colleghi. «Mi sono avventurato in un posto oscuro – ha raccontato nelle interviste – ma non credo ci tornerò mai, perché sono sceso davvero in profondità».

Il produttore Jimmy Napples – con cui ha lavorato già nel multiplatino disco di debutto – lo ha aiutato, ma The Thrill of It all deve fare i conti con il grande successo americano del precedessore e «imbarca» anche un team che comprende nomi altisonanti come Timbaland e Emile Haynie. Ma non si fa travolgere commettendo l’errore di mettersi alla ricerca di suoni eccessivamente «radio friendly» o utilizzando smodata elettronica. Languido e profondo nell’apertura di Too good at goodbyes, cita Otis Redding e i Radiohead di Creep in un attacco di Midnight train sublimando languori amorosi su Him, la perfetta pop ballad.