Al teatro alla Scala si riprende in questi giorni L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti nell’allestimento del 2015. Le sottigliezze caricaturali di Daumier, la sbrigliatezza irrazionale di Dalì, i cromatismi di Chagall e la semplicità prospettica del Wanderbühne che animano le scene e i costumi di Tullio Pericoli, insieme alla regia di Grischa Asagaroff, in cui la pantomima si coniuga col teatro di rivista, e alle luci meridiane di Hans Rudolf Kunz, restituiscono a questo «melodramma giocoso» la carica di freschezza naïve e trasognata grazie alle quali nel 1832 il compositore, insieme al fido poeta Felice Romani, nel tentativo di lasciarsi alle spalle l’eredità ingombrante dell’opera buffa rossiniana, fusero l’italianissima commedia col dramma lacrimoso alla francese.

COSÌ GLI AUTOMI strappariso che il genio pesarese aveva saputo tenere in vita così a lungo distillando l’eredità settecentesca di Guglielmi, Jommelli, Paisiello, Pergolesi, Piccinni e Sacchini, vengono umanizzati attraverso una riforma realistica della trama e una inusitata caratterizzazione selettiva sul piano melodico. A Nemorino, veicolo di gran parte del sentimentalismo dell’opera, invece del canto di agilità viene riservata una vocalità «spianata», che si muove prevalentemente nel registro centrale, aprendo la strada a un nuovo tipo di tenore per l’opera comica, il cosiddetto «tenorino di grazia». L’Adina capricciosa e volubile dell’inizio sfoggia una linea di canto ricca di fioriture; poi, quando rinsavisce e si innamora, ripiega su una cantabilità più lineare e malinconica.

BELCORE, militare vanaglorioso, si esprime in toni pomposi, su ritmi puntati, annunciato da rulli di tamburo e accompagnato da musiche marziali. Dulcamara è l’unico che, con la sua eloquenza truffaldina modulata in un canto prevalentemente sillabico, rientra nella tradizione dell’opera buffa. Pericoli ha colto perfettamente nell’opera questo sforzo di «costruire» una nuova idea di semplicità melo-drammaturgica. La direzione del giovane Michele Gamba, già assistente di Pappano e Berenboim, è assai baldanzosa nello stacco dei tempi e nell’articolazione dei volumi, privilegiando nella partitura la pulsione festosa a quella malinconica.

IL CAST si adatta a questa lettura in duplice misura. Rosa Feola risolve le due anime vocali di Adina, quella d’agilità e quella lirica, con un controllo tecnico e una naturalezza che, assieme alla rara prestanza attoriale, le permettono di disegnare un personaggio davvero seducente; René Barbera cesella un Nemorino delizioso, a tratti goffo e simpatico, a tratti commovente ed estatico, con un picco nell’esecuzione di «Una furtiva lagrima»; Massimo Cavalletti appare un po’ in difficoltà nel risolvere la parte acuta del ruolo di Belcore, pur scenicamente credibile; ad Ambrogio Maestri, che come sempre si cala nel ruolo di Dulcamara con grande generosità, gioverebbe gigioneggiare un po’ meno con la voce; delicata la Giannetta di Francesca Pia Vitale. Repliche fino al 10 ottobre.