La risata caustica di «Charlie Hebdo» scende in Italia. Unica tappa nel profondo sud, a Cosenza, nel Museo del fumetto diretto da Luca Scornaienchi. Le migliori copertine saranno in mostra da oggi fino all’8 maggio. Nella prima giornata, che prevede incontri e performance, saranno ospiti Marika Bret e Coco. Presenteranno il libro postumo di Charb (Stéphane Charbonnier, ndr), «Ridete, per Dio!» (Piemme, pp. 135, euro 12, prefazione di Erri De Luca). Abbiamo intervistato la redattrice Marika Bret.

«Charlie Hebdo» ha pubblicato vignette molto forti sulla serie di attentati terroristici del 22 marzo a Bruxelles. L’arma della satira cosa può contro le armi vere del fondamentalismo?

Il genere satirico non è iniziato con «Charlie Hebdo». Gli dei greci e romani avevano nominata «Momos» (derisione in greco antico), dea dello scherno e della satira, mattacchiona delle divinità olimpiche, fino a quando fu scacciata dall’Olimpo, perché il suo sarcasmo era diventato insopportabile. Trovò rifugio presso il solo dio che volle accoglierla, Dionisio/Bacco dio del vino e dell’eccesso! Siamo pieni di altri esempi in letteratura, per esempio: Rabelais con Gargantua. La satira è lo humor che permette di prendere le distanze, che interpella, che fa riflettere. È la conoscenza di fronte all’oscurantismo. È ciò che consente di non aver paura. È l’intelligenza di fronte alla bestialità. È la luce di fronte all’oscurantismo. Noi di «Charlie» siamo oscurantofobici.

Quanto si sono ristrette in Francia le libertà dopo i tragici fatti del 2015?

Le libertà ci sono sempre. Si è preso coscienza che se non le difendiamo insieme, se lasciamo fare, dire qualunque cosa a colpi di violenza, le perderemo. Quando non è più la democrazia a reggere la nostra vita sociale, è dittatura e teocrazia

Un volto, un messaggio, un’immagine che nelle ultime settimane le ha lasciato un’impronta positiva nel cuore?
La fedeltà dei sostenitori: nel gennaio 2015 un ragazzino ha rotto il suo salvadanaio per recuperare le 5 euro donate da sua nonna. Ha dato i soldi a sua madre dicendole: «Sono per i disegnatori del giornale, perché anch’io disegno, e non vorrei morire per un disegno». La madre ha fatto un abbonamento e inviato i soldi in una busta. Quest’anno la famiglia si è riabbonata dicendo che Charlie doveva vivere almeno tanti anni quanti il loro ometto. Piccino!

La vignetta di «Charlie Hebdo» sul piccolo Aylan, il bambino kurdo ritratto esanime su una spiaggia, la cui foto è diventata il simbolo della tragedia dei migranti, ha fatto discutere. Il padre di Aylan l’ha definita inumana e immorale. Cosa risponde?

Che abbiamo cercato la famiglia del piccolo Aylan per farla parlare! Dopo gli attentati di gennaio, io non ho voluto vedere le immagini dei fratelli Kouachi, né il video con l’esecuzione di Ahmed Merabet sul marciapiedi. Per nulla pronta ad assumere la distanza propria della leggerezza e del riso. Ma non avrei impedito a nessuno di esprimersi, sceglievo giusto di non ascoltare. «Charlie» si compra o no. Ma metterlo davanti al naso di coloro che soffrono, incapaci di assumere la distanza propria della leggerezza e del riso, è veramente immondo.

Questa vignetta critica coloro che sono stati strumentalizzati a Colonia, cioè i rifugiati, le vere vittime. Tutti i mali dell’Europa deriverebbero dalla crisi migratoria, sarebbero responsabilità dei rifugiati. È questa la prima tesi del Fronte Nazionale che indica lo straniero come colpevole. Per alimentare l’odio verso l’Altro, contro chi non è come te. Allora, discriminazioni e razzismo come modo di vivere? No. Tutti i cittadini del mondo devono prendere una posizione urgentemente.

Il Premio Nobel Dario Fo, che ha appena compiuto 90 anni, ha scritto a proposito della satira: «Prima regola: nella satira non ci sono regole». È d’accordo? Esiste un «buon gusto» nella satira?

La nozione di buon gusto è soggettiva, dipende dal modo di sentire di ognuno. Allora sì, c’è un limite molto chiaro in una democrazia: la legge. Quella che definisce ciò che emerge dall’ingiuria, dall’appello all’odio, dalle discriminazioni, dalla diffamazione, dall’apologia del terrorismo. Charlie non si sottrae alla legge. Al contrario. Quando siamo davanti ai tribunali, non ci sentiamo di fronte a dei kalashnikov. Accettiamo il dibattito indispensabile per rendere chiaro precisamente ciò che la legge ha definito. Questo serve al giornale, è sicuro, ma anche all’esercizio della democrazia.

Ma davvero la satira contribuirà a costruire un altro mondo?

Fondamentalmente sì. Saper prendere in giro, in primo luogo se stessi, per avere questa necessaria distanza che costruisce il nostro mondo, ciò che si chiama «Umanità». Quel che è terrificante oggi, è l’arretramento dovuto a delle piccole concessioni per avere la pace sociale. Ora, la pace sociale non è una merce. Essa si costruisce perché si nutre di un esercizio molto prezioso: la nostra libertà d’essere.

L’ultima copertina sugli attentati di Bruxelles, quella col cantante belga Stromae che intona una sua celebre canzone «Papà, dove sei?» mentre brandelli di corpo umano gli rispondono: «Qui», «Di là» «Anche di qua», è l’inizio di un nuovo cammino splatter per «Charlie Hebdo»?

La vignetta denuncia il massacro, la barbarie. Propone una lettura che fa accapponare la pelle, sì. Ma sono i fatti che spappolano le budella o colpevole sarebbe un disegno? Seriamente!

(traduzione di Rossana Bartolo)