Ridurre la spesa militare, rinunciare a molti e magari persino a tutti i costosissimi caccia F-35 (circa un centinaio di milioni di euro l’uno)? «Semplicismi e propagandismi che circolano in materia di spesa militare e di dotazioni indispensabili per ne nostre Forze Armate». Parola di Giorgio Napolitano.
Dice proprio così il presidente, «dotazioni indispensabili». Quasi a chiudere d’autorità e in anticipo il lavoro che il parlamento si è impegnato a fare a giugno scorso. Cioè quella ricognizione sulle reali esigenze dell’Italia in fatto di sistemi d’arma che è stata il compromesso raggiunto alla camera tra chi voleva tagliare da subito la spesa per i jet da guerra e chi voleva lasciare tutto invariato. Napolitano anticipa il giudizio. Quegli aerei servono, sono «indispensabili». Del resto, il capo dello stato in qualche modo lo aveva già detto il 3 luglio scorso. Allora un Consiglio supremo di difesa convocato al Quirinale all’indomani dell’approvazione della mozione parlamentare sulla «ricognizione» della spesa, aveva chiarito che le camere non hanno «un diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici». Tali essendo, secondo lo stato maggiore della difesa e anche secondo il Colle, i programmi di spesa per i caccia prodotti dagli Usa (e assemblati in Italia) Joint Strike Fighter. Anche quando queste spese valgono qualcosa come 13 miliardi di euro nei prossimi 12 anni (cioè nel complesso più di tutte le manovre contenute nella legge di stabilità 2014 di cui si discute in questi giorni).

Giorgio Napolitano ieri ha parlato al Quirinale nel corso della cerimonia per il conferimento delle decorazioni dell’ordine militare. E ieri era il 4 novembre, 95esimo anniversario della fine della prima guerra mondiale, festa delle Forze Armate e dell’unità nazionale. Occasione dunque particolare, in cui si rende omaggio ai militari, specie agli alti gradi, in tutto il paese. Ma la sensibilità del presidente della Repubblica per le necessità di bilancio della difesa non è nuova. Il presidente non dimentica mai di richiamare le varie categorie sociali alla necessità dei sacrifici. E anche ieri ha citato l’esigenza di «contenere i costi, riorganizzare e razionalizzare le strutture» militari. Ma ha avvertito: «Ci si guardi dal discutere con con leggerezza di una riduzione in generale dell’Italia sul piano militare (…) è indispensabile la presenza e l’efficienza di un adeguato strumento militare italiano accanto a quelli dei nostri alleati europei e atlantici». Insomma, «le risorse scarseggiano», «la coperta resterà corta», ma i compiti delle forze armate «sono certamente di molto cresciuti». E quindi «non possiamo indulgere a semplicismi e propagandismi che circolano in materia di spesa militare e di dotazioni indispensabili per le nostre forze armate».

Di «propagandismo», sebbene involontario, è stato per la verità recentemente accusato il ministro della difesa Mario Mauro, ieri al Quirinale con Napolitano. Nel suo caso propagandismo in favore dei caccia statunitensi. È successo quando si è saputo che il ministro compare in parole e immagine in un video della Lockheed Martin – l’azienda produttrice degli F-35 – destinato a illustrare i pregi del costosissimo caccia. Il ministro prima e l’azienda poi hanno spiegato che si trattava di una «comparsa» involontaria, per altro fatta in compagnia di altri ministri dei paesi che partecipano al programma Joint Strike Fighter, e le polemiche sono rientrate. Non per questo si è conclusa la partita che Difesa e Colle giocano dalla stessa parte di campo. Il programma degli F-35, infatti, è messo in discussione da diversi paesi alleati, per i costi ma anche per i dubbi sull’affidabilità tecnica. Il precedente governo aveva annunciato un taglio di una quarantina di caccia: dai 131 autorizzati in passato dal parlamento italiano a 90. Mauro e gli stati maggiori hanno già fatto sapere che quel passo indietro non è definitivo. Domani al Quirinale se ne riparlerà in un nuovo Consiglio supremo di difesa.