Vorrei provare a spiegare le ragioni della mia non condivisione di alcune affermazioni riportate nell’articolo di Ivan Cavicchi relativamente alle misure programmate dal Ministero della Salute con i finanziamenti del Recovery Fund, Fondo Complementare e React-Eu. Andiamo con ordine.

Primo. Non è vero che con “gli strumenti della programmazione negoziata” si rinuncia alla “gestione diretta” dell’assistenza domiciliare. Nelle carte inviate a Bruxelles, con quella dizione si fa riferimento al “contratto istituzionale di sviluppo”, cioè alla procedura tramite la quale si definiscono ruoli, tempi e modalità del rapporto tra Stato e Regioni. Si tratta dunque di un accordo tra istituzioni pubbliche e non di un presunto “regalo” ai privati.

Secondo. Come è noto, con i fondi europei è possibile finanziare gli investimenti e non le spese per il personale. Anche il Recovery non sfugge a questa regola. Infatti l’art.5 del regolamento vieta espressamente la copertura delle “spese ricorrenti”. All’Italia che ha dimostrato che con l’Adi si riducono gli “accessi impropri al pronto soccorso” ed i “ricoveri inappropriati” è stata concessa una deroga di 6 anni per l’assunzione del personale con l’obbiettivo di portare questo servizio al 10%.

Terzo. Non corrisponde al vero che le “case della comunità” non saranno un segmento importante della rete pubblica dei servizi territoriali. Nel Pnrr, infatti, è chiaramente indicato che le risorse saranno assegnate alle Regioni per la costruzione di strutture pubbliche.

Quarto. Entro il primo trimestre del 2022 il Parlamento dovrà approvare una legge di riordino della rete dei servizi territoriali. Questo è l’impegno (scritto) che abbiamo preso con la Commissione europea. Non con accordi segreti ma alla luce del sole discuteremo alla Camera ed al Senato un pezzo fondamentale della riforma della Sanità.

Questo piano è un’occasione importante per il Paese in generale e per la sanità pubblica in particolare. Portare il nostro Servizio sanitario nazionale più vicino alle persone puntando su innovazione tecnologica e digitalizzazione, è l’obiettivo di tutti, ma la risorsa più importante sono, e saranno sempre, i nostri professionisti sanitari.

Deputato Gruppo Leu, componente della XII Commissione Affari Sociali della Camera

 

LA RISPOSTA DELL’AUTORE

L’assenza di una strategia di riforma

Se il pubblico per garantire l’assistenza domiciliare non prevede di assumere un solo medico o un solo infermiere, vuol dire che lo Stato questa funzione nevralgica intende appaltarla al privato. Come tutta la medicina anche l’assistenza domiciliare prima di tutto si fa con degli operatori cioè con il lavoro.

Che il Recovery plan, soprattutto per la sanità, non consideri tra gli investimenti il lavoro professionale è un errore madornale. Il ministro Speranza avrebbe dovuto battersi per considerare il personale in sanità in conto capitale non come spesa corrente, una battaglia che però non ha fatto. Il capitale della sanità è il personale.

Sulle case di comunità, ho solo chiesto chiarimenti sulla loro gestione. Se la loro gestione sarà delegata al terzo settore di fatto è come appaltare al privato un altro pezzo di sanità pubblica, se invece ribadirete la loro gestione pubblica di fatto avrete risposto alla pandemia con una vecchia idea di poliambulatorietà. In entrambi i casi a mio parere non è la risposta che servirebbe al paese.

Lei parla di accordi fatti qui, ma in nessun caso accenna alla necessità di aprire un confronto con l’intero sistema sanitario. La sanità certamente non è un mondo semplice e meno che mai è un prato di fiorellini ma è un errore considerarla come una trivial machine.

Che questo Pnrr sia importante convengo con lei, ma temo che esso rischi, proprio a causa di un pensiero politico debole, di rivelarsi non solo una occasione persa ma anche di degenerare come dimostra proprio la Missione 6, in un contro-riformismo. A mio giudizio il grande errore politico di cui la sinistra di governo porta la responsabilità, è la rinuncia a una vera strategia di riforma.