Gli inserti settimanali dedicati all’economia dei maggiori quotidiani italiani insistono nell’invitare gli imprenditori ad investire nel settore salute e benessere perché è un vantaggioso business, anche se richiede particolari doti di diligence. Vari esperti, manager e presidenti di associazioni e fondazioni che si occupano di healtcare concordano nell’affermare che imprese, fondi e assicurazioni sono già in grado di fornire alla parte pubblica servizi sanitari e sociali a costi più convenienti di quelli prodotti dalle Aziende sanitarie. Come dire ai governi locali e nazionale vi conviene affidarvi alla produzione del mercato e abbandonare la produzione propria e diretta.

Purtroppo bisogna riconoscere che questo messaggio trova disponibilità inaspettate tanto da far parlare di un nuovo patto tra istituzioni e soggetti sociali una volta difensori della cosa pubblica e della riforma sanitaria.

L’evidenza scientifica (minore mortalità infantile e più anni di vita della popolazione), economica (costi inferiori rispetto alla medicina assicurativa e privata) e sociali (maggiore e più diffuso benessere) della esperienza italiana, vengono ritenute non generalizzabili negli altri Paesi e a lungo insostenibili nella stessa Italia, dove nel 2050 ci sarà un pensionato per due lavoratori.

A sostenere questa falsa conclusione e a proporre una mercantile alternativa ci pensano il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. Questi organismi internazionali indicano ai paesi sviluppati e in via di sviluppo una ricetta sostitutiva del modello universalistico.

Occorre secondo la Bm alzare l’età pensionabile, diminuire l’entità delle pensioni, tagliare i servizi e le prestazioni, introdurre il libero mercato e favorire l’iniziativa del privato.

Il governo-tecnico di Monti è riuscito in particolare a innalzare l’età pensionabile, introdurre i super ticket e a ridurre il Fondo sanitario. Il governo Letta ha dato seguito a questa politica di riduzione della spesa pubblica e quello di Renzi ha spinto in avanti il processo di introduzione del privato nell’assistenza sanitaria e sociale.

Con il jobs act Renzi ha permesso che avvenisse una ridistribuzione delle risorse pubbliche a favore dell’impresa (meno spesa pubblica e riduzione del costo del lavoro). Poi con la legge di stabilità ha favorito un nuovo modello di contrattazione che prevede il Welfare aziendale.

Questo nuovo strumento delle relazioni industriali si presta facilmente a essere piegato a una nuova strategia padronale, quella di fornire servizi sanitari e sociali in alternativa a quelli del Welfare pubblico. Infine, il governo Gentiloni ha emanato di recente un disegno di legge sulle liberalizzazioni che concede agli imprenditori l’opportunità di creare affiliazioni in importanti settori, come per esempio in quello delle farmacie.

La legge prevede che società imprenditoriali possano creare reti di farmacie, che saranno trasformate in Box di salute, bellezza e benessere dove ogni persona può liberamente comprare i vari prodotti o tipi di servizio. Dunque, imprenditori, sindacati, associazioni, cooperative profit, fondi e assicurazioni stanno di fatto creando un nuovo patto con le forze politiche e con i governi anche del centrosinistra per dirottare il Fondo nazionale e regionale della sanità e del sociale verso il mercato, incrementando la domanda degli italiani verso le strutture e le cure private. Sono già 10 milioni le persone che utilizzano i servizi a pagamento diretto, spendendo circa 35 miliardi a fronte di una spesa pubblica di oltre 112 miliardi (dati 2015). I privati, anche quelli appartenenti all’area progressista e di sinistra, vogliono mettere le mani sul Fondo del Servizio sanitario nazionale, decretandone così la fine.

La partita non è persa, sempre che le forze democratiche e di sinistra sappiano affrontare le sfide del XXI secolo.