La regionalizzazione del servizio sanitario nazionale è stata sostenuta dalla retorica della «prossimità»: spostare le competenze dal ministero alle regioni avrebbe dovuto garantire la presa in carico dei bisogni specifici dei territori. Nella realtà, il processo ha creato 21 centralismi che hanno ereditato i difetti del sistema statale e di quello federale, e che il virus ha sconfitto sul campo della sanità territoriale.

Proprio il ruolo degli enti locali nella sanità, e in particolare nella realtà romana, è stato il titolo di un partecipato incontro tra movimenti per il diritto alla salute e assessori e consiglieri di Roma e dei municipi organizzato dal Forum per il diritto alla salute e dal movimento di «Medicina democratica» nella Sala della Protomoteca al Campidoglio. I comuni, almeno sulla carta, non hanno competenze dirette sul servizio sanitario. Non per questo gli amministratori locali possono girarsi dall’altra parte. Sono tante le ricerche che dimostrano che lo stato di salute si costruisce fuori dagli ospedali, nello stile di vita e nell’istruzione. «Sono i cosiddetti “determinanti” della salute» spiega Elisabetta Papini del Forum per il diritto alla salute. «I comuni, dai trasporti all’ambiente all’ambiente, possono fare molto per la sanità». Ma il tema della salute è stato sottratto ai comuni, che invece nella riforma che diede vita al Ssn nel 1978 aveva un ruolo importante. «La partecipazione popolare alla sanità era uno dei pilastri della riforma del 1978. Le comunità locali dovevano partecipare a identificare i fattori di rischio. Poi c’è stato un vero e proprio esproprio» racconta Ferdinando Terranova, ex-docente universitario di Tecnologia per l’Igiene edilizia e ambientale alla Sapienza. Nel 1978 Terranova collaborò con i gruppi parlamentari del Pci alla stesura della legge di riforma, dunque sa di cosa parla. «I comuni dovevano rappresentare le comunità locali, intervenire nella definizione dei loro bisogni sanitari e aiutare a modellare il servizio per rispondere ai bisogni. La “controriforma Garavaglia” del 1993 assegnò alle regioni la gestione politica e alle Asl la gestione ammnistrativa della sanità. Nelle vecchie Usl c’era un comitato di gestione, che veniva nominato dai comuni. Nelle Asl il sistema è diverso. La gestione è monocratica, tutta in mano al direttore generale». «La democrazia nelle Asl viene azzerata» conferma Edoardo Turi, dirigente in una Asl di Roma e attivista di Medicina Democratica. «La riforma che arriverà con il Pnrr non fa che riconfermare le scelte neoliberiste del passato. Sul territorio si prevede l’arrivo delle case della comunità per bilanciare l’accorpamento delle maxi-Asl, che oggi arrivano a coprire anche un milione di assistiti ciascuna. Sono un’esperienza mutuata dalla sperimentazione della Toscana. Ma come ha verificato un rapporto delal commissione parlamentare finora sono state un fallimento».

Durante la pandemia la realtà romana ha mostrato notevole vitalità, nonostante tutto. Non si contano le reti di quartiere che hanno garantito assistenza a chi nei vari lockdown è rimasto solo. Volontariato a parte, a Roma i cittadini si sono attivati anche per reclamare diritti al di là dell’emergenza. Chiedendo, per esempio, di restituire al territorio le strutture sanitarie tagliate negli anni dell’austerity. «C’è la pandemia, ma ci permettiamo il lusso di ternere chiusa una struttura come l’ospedale Forlanini, nato e pensato proprio per la cura delle malattie respiratorie» ironizza per esempio Anna Ventrella, del coordinamento di associazioni che ne chiede la riapertura. L’interlocutore principale è la regione. I municipi potrebbero essere alleati dei movimenti nella sfida del decentramento ma spesso non raccolgono i bisogni dei cittadini. «Il municipio ha un ruolo nella programmazione sociosanitaria» spiega Barbara, attivista del comitato che chiede di riaprire Villa Tiburtina, ex-sede di una Asl in un quadrante di Roma dove aprono solo nuove cliniche private. «Ma nel nostro caso non si è dimostrato disponibile a rappresentare la nostra istanza presso la Regione». Strano, o forse no, visto che si tratta in entrambi i casi di enti a guida Pd. In altri casi, invece la cinghia di trasmissione funziona. Proprio durante l’emergenza Amedeo Ciaccheri, il minisindaco dell’ottavo municipio sostenuto da partiti, ma soprattutto associazioni e centri sociali del quartiere della Garbatella, ha costituito la “Consulta socio-sanitaria”, organismo a cui partecipano comitati, esperti e cittadini per individuare i bisogni sanitari del territorio. Nel terzo municipio ci avevano già pensato nel 2019. Della giunta municipale faceva parte Claudia Pratelli oggi responsabile della scuola in quella del sindaco Gualtieri. All’assemblea partecipa anche lei, perché «la battaglia per il diritto alla salute si combatte da varie postazioni», spiega. «Ricchezza e salute di una comunità dipendono soprattutto dall’istruzione delle persone e i primi mille giorni di vita sono i più importanti nel determinare lo sviluppo dell’individuo. Per quello sarà fondamentale garantire a tutti l’iscrizione all’asilo nido». Nell’assemblea si mormora «Magari!». Ma nel Pnrr i soldi ci sono, dunque questo è una promessa che andrà mantenuta.