Il romanzo d’esordio di Manuela Antonucci Murene (pp. 233, euro 16), nella bellissima veste editoriale Italo Svevo, racconta la storia di un paese o come si direbbe ora di una piccola comunità. I personaggi, le cui vicende si intrecciano, vivono tutti nello stesso angolo del sud Italia, più precisamente nell’agro salentino e Antonucci ambienta la sua storia proprio al tempo in cui in quelle zone avvenne la rivolta dei contadini per ottenere la terra.

ALL’OCCUPAZIONE partecipa anche Anna, pure se all’ultimo momento vorrebbe poter non andare, ha il dubbio che lasciare la propria figlia così piccola, Liberata, e il suo amato Tonino, potrebbe essere rischioso. Il marito però la spinge a non rinunciare a ciò in cui crede. Anna va, senza mai più fare ritorno a casa. Nel romanzo l’avvento della «sciagura» sulle vite di questi personaggi già disgraziati, poveri e disperati è ciò che fa accadere le cose.
Il destino si accanisce contro Nino, che non essendo superstizioso non mantiene un piccolo voto: quella notte stessa il suo amico, che anni prima era stato vittima di un incidente che li coinvolgeva entrambi, si impicca e la sera successiva sua figlia Anna scomparirà per sempre. Lui finirà incapace di intendere, del tutto dipendente dalle cure di sua moglie Pietra. La donna, a sua volta, smetterà di lottare contro il malocchio proprio per l’accanirsi della sorte che si è abbattuta sulla sua famiglia. Un giorno, dopo molto tempo che non toglieva «l’affascino» a qualcuno, per pietà cede: sarà a seguito di quel rituale che verrà a galla la verità sulla fine che ha fatto Anna, tanti anni prima.

COME IN OGNI PAESE del mondo, anche in quello che ci racconta Antonucci c’è uno che se ne è andato, vestito di stracci e dopo essersi arruolato torna con la divisa e la camicia inamidata, è lui che dovrà occuparsi di sedare le rivolte dei contadini: Pompilio. Sarà lui a essere perseguitato poi dalla visione in sogno di Peppino «lo scemo del paese», a cui era stato dato l’incarico di vegliare sulle biciclette degli occupanti e che è morto bruciato nel tentativo di salvarle. Qui l’autrice attinge direttamente ai fatti di cronaca di quel tempo: la rivolta dei contadini fu infatti sedata con la forza e le biciclette – unico bene posseduto dai ribelli – vennero date alle fiamme.

IL TITOLO Murene fa pensare alla capacità di questi pesci di resistere anche fuori dall’acqua, proprio come Liberata, la figlia di Anna, nata da una donna attaccata alla sua terra tanto da perdere la vita pur di riscattarla e da un padre che concepisce l’esistenza solo su una barca di pescatore. Questa sua connotazione – di essere «figlia di tua madre e di tuo padre», capace di agire in entrambi gli elementi – non ha nello svolgimento del romanzo però una sua rappresentazione vera e propria.
La parte certamente più riuscita del testo è quella iniziale, in cui per i protagonisti e per Anna esistono ancora delle possibilità, un futuro. Nel momento in cui tutta la speranza si consuma a metà della storia, l’intreccio perde un po’ in forza e di chiarezza. Ciò che nel romanzo invece non subisce contraccolpi è la lingua: perfettamente aderente ai suoi personaggi.