Aleksandr Bogdanov è stata una figura pienamente inserita nello spirito del tempo dei bolscevichi. Giovane dirigente, con una buona formazione scientifica e filosofica non esita a confrontarsi e a misurarsi con l’epistemologia dei primi del Novecento, arrivando a elaborare tesi e punti di vista che facevano tesoro delle sue razzie nella fisica, nella teoria dell’organizzazione, nella chimica, arrivando a essere presentato, negli anni Ottanta del secolo scorso, l’involontario antesignano, della teoria dei sistemi.

LENIN ne apprezzava l’acume, ma aveva per lui parole aspre, giudizi taglienti per il suo romanticismo scientista. Cose e discussioni del pleistocene politico e teorico. Poco servono a comprendere, per esempio, la passione di Bogdanov per la fantascienza, che tra il primo e il terzo decennio del Novecento era un genere di larga diffusione nella Russia zarista prima, sovietica poi.
Un genere narrativo che non nascondeva i propositi pedagogici (diffondere conoscenze scientifiche) e di propaganda. Bogdanov scrisse un romanzo, Stella Rossa, che è stato recentemente pubblicato dalla casa editrice Alcatraz (pp. 223, euro 18) all’interno del suo progetto editoriale di restituire la science fiction maturata al di là dell’Elba. È un romanzo espressione appunto di una dimensione educativa che Bogdanov enfatizza dando una veste diaristica alla storia narrata. Siamo nella Russia nei mesi precedenti la Rivoluzione.

Il protagonista è un rivoluzionario di professione. Briga sta organizzando l’insurrezione, anche se di dubbi ne ha, e non pochi. Si ritrova invece su Marte, dove la rivoluzione socialista c’è già stata. Apprende la difficoltà della costruzione del socialismo e del comunismo, ma constata che la strada per il regno della libertà può essere diversa da quella prospettata dal suo partito. La rivoluzione può essere tremenda, feroce, sanguinosa, può divorare i suoi figli. Su Marte, invece l’evoluzione ha accompagnato la presa del potere del proletariato. Tutto funziona bene. Non c’è penuria, tutto è meticolosamente organizzato attraverso tecnologie sofisticate e la statistica per consentire che ognuna abbia secondo le sue necessità e che i singoli possano restituire al collettivo ciò che possono dare.

C’È UN PERÒ: le risorse naturali di Marte stanno per esaurirsi, da quelle energetiche a quelle alimentari. La soluzione? Colonizzare altri pianeti, con il rischio di diventare dominatori imperialisti. Il romanzo è un condensato delle discussione che imperversavano dentro il gruppo dirigente bolscevico. Bogdanov, da quel che scrive, crede alla necessità di rallentare il corso rivoluzionario, di essere evoluzionisti, cioè di accompagnare con uno sforzo educativo la crescita di coscienza del proletariato e della società nel suo complesso.

IN QUESTO, leninista proprio non lo è. Il romanzo si snoda tra descrizioni della società socialista marziana, amori intensi tra terrestri e marziani, problematiche di difficile soluzione, anche se l’autore in alcune pagine sembra un teorico della decrescita. Stile di altri tempi, ma capace di restituire il desiderio di libertà che c’era e c’è sempre dietro ogni movimento, organizzazione politica che si propone l’abolizione dello stato di cose presenti.
Bogdanov lascia aperte le soluzioni, ma il suo finale può essere visto come una critica malinconica a quello che accadrà nella sua Unione sovietica, quando a capo del partito non ci sarà l’amato e temuto Lenin, bensì un gruppo di dirigenti che oltre a perseguitare e uccidere comunisti ha trasformato quell’esperienza in un carcere a cielo aperto.