La creazione di una «falsa immagine» dell’ex Urss come «Stato terrorista». Con questa accusa la Procura generale russa ha chiesto lo scioglimento di Memorial, la più antica organizzazione per la difesa dei diritti umani nella Federazione, che speculando sul tema delle repressioni avrebbe creato un’immagine ingannevole dell’ex Unione sovietica.

UNA RICHIESTA CHE IERI ha trovato riscontro positivo: la Corte suprema russa ha ordinato lo scioglimento di Memorial International, il ramo internazionale dell’organizzazione, accogliendo la tesi dell’accusa sulla distorsione della verità storica della Seconda guerra mondiale. Non solo: è attesa oggi anche la sentenza di un tribunale di Mosca sullo scioglimento dell’associazione. In questo caso, le accuse sono due: la prima dai veterani sovietici, che hanno chiesto di sanzionare Memorial per «riabilitazione del nazismo»; e la seconda dalla Procura, per un vizio di forma in alcuni profili e materiali dell’associazione, inserita dal 2016 nella lista degli agenti stranieri sulla base dell’omonima legge. Etichetta che Memorial avrebbe omesso di indicare in alcuni casi.

SEMPRE PIÙ INCERTO il futuro dell’archivio gestito dall’associazione, il più grande al mondo sull’epoca dei gulag, soprattutto di quelli dell’epoca staliniana. Intanto Memorial International ha fatto sapere che farà appello contro la sentenza e «troverà i mezzi legali per continuare il proprio lavoro».

FONDATA SULL’ONDA della perestrojka e della glasnost nel 1989, da un gruppo di dissidenti che comprendeva anche lo storico Yuri Afanasyev (ai tempi direttore dell’Istituto degli archivi storici di Mosca) e il fisico Andrej Sacharov, premio Nobel per la Pace e artefice della Bomba Zar, il più grande ordigno all’idrogeno mai sperimentato, Memorial ha giocato un importante ruolo storico e culturale nel ristabilire e far conoscere la verità delle purghe staliniane – rivolte spesso anche contro le fila stesse dei comunisti: inizialmente con tutte le accortezze necessarie in un regime fortemente repressivo, e poi con coraggio sempre maggiore, organizzando convegni e pubblicando articoli e approfondimenti sulle deportazioni, i lager e le repressioni politiche nel paese. Un ruolo che ha avuto negli anni anche una connotazione politica, contribuendo a rendere di pubblico dominio storie e avvenimenti sconosciuti alla maggior parte dell’opinione pubblica.

E anche uno strumento utile a Mikhail Gorbaciov e al suo processo di riforma e «umanizzazione» del comunismo snaturato da Stalin, che si consolidò appunto nella perestrojka. Se infatti le riforme economiche non riuscirono a concretizzarsi, la politica di Gorbaciov spezzò molte delle catene che per anni avevano limitato la libertà di parola e di espressione nell’Urss: un primo passo verso la nascita di movimenti per i diritti umani nel Paese.

Proprio da Gorbaciov, insieme al premio Nobel Dmitrij Muratov, direttore di Novaya Gazeta, è arrivato di recente un appello (inascoltato) a ritardare la sentenza. «Memorial ha sempre mirato a ristabilire una giustizia storica, conservando la memoria di centinaia di migliaia di persone uccise in anni di repressione, perché ciò non accada in futuro», hanno scritto. Dure condanne da Amnesty International e dall’ambasciatore a Mosca John Sullivan degli Usa – che tengono però ben secretati molti elementi della loro storia -, che ha definito la sentenza «un nuovo tentativo di cancellare la storia e sopprimere la libertà di espressione».

DI CERTO, LA SENTENZA di ieri è un nuovo, brutto capitolo della storia dei diritti umani in Russia, dopo l’arresto di Aleksej Navalnyj e la chiusura di tutte le organizzazioni a lui legate con l’accusa di estremismo (modalità che richiama la legge «stop-Soros» approvata nel 2018 dal Parlamento ungherese e fortemente voluta dal premier sovranista Viktor Orbán). Accusa analoga a quella avanzata nei confronti di Memorial, che ad oggi in Russia conta 50 sedi, a cui se ne aggiungono sei in Ucraina e altre ancora in svariati paesi europei, inclusa l’Italia. E proprio questa popolarità internazionale sarebbe alla base della sentenza secondo alcuni osservatori, che leggono la notizia nell’ottica del conflitto attuale tra Mosca e il mondo occidentale.