Ha ottenuto un primo risultato la forte mobilitazione internazionale che chiede alla Russia il dissequestro della nave Arctic Sunrise e la liberazione dei trenta attivisti di Greenpeace accusati di «pirateria» per l’azione di protesta contro una piattaforma petrolifera artica di Gazprom. La commissione investigativa fa infatti sapere che per i 28 attivisti e i due giornalisti freelance detenuti da oltre un mese a Murmansk l’accusa non sarà più quella di «pirateria» (che prevede pene tra i 10 e i 15 anni) ma di «teppismo» (pena massima 7 anni, ma normalmente le condanne sono molto più lievi).

Assume così un altro segno la giornata che si era aperta con il netto rifiuto da parte di Mosca di prendere parte al procedimento di arbitrato internazionale chiesto dall’Olanda per il dissequestro della nave di Greenpeace, «catturata» insieme al suo equipaggio dalla Guardia costiera russa. Un vero boicottaggio delle udienze presso il Tribunale internazionale del diritto del mare (Itlos), motivato dalla possibilità che le decisioni della Corte entrino in conflitto con le leggi della Federazione russa.

Malgrado la rinnovata disponibilità del ministero degli Esteri russo a trovare comunque una soluzione alla controversia, Daniel Simons, consulente legale di Greenpeace International, fa notare che «la Russia non può scegliere quale parte della Convenzione dell’Onu sul diritto marittimo applicare. Se la Federazione russa – ha aggiunto – crede che il tribunale marittimo internazionale non abbia giurisdizione in merito sarebbe appropriato che sollevasse la questione nel corso dell’udienza». Era stato lo stesso leader del Cremlino Vladimir Putin ad ammettere per primo che in effetti i 30 «non sono pirati».