La tensione tra la Russia e l’Occidente continua a riversarsi sul mondo del cinema. È di ieri la notizia della rinuncia di Mosca a prendere parte alla corsa all’Oscar per il miglior film internazionale. La decisione, tuttavia, non è stata indolore. Pavel Tchoukhraï, presidente della commissione che avrebbe dovuto scegliere la pellicola da iscrivere, si è dimesso perché la mossa, da lui definita «ingiusta e illegale», sarebbe stata decisa alle sue spalle dalla Russian Film Academy. Insieme a Tchoukhraï si sono dimessi altri membri della commissione, che si aggiungono a quelli che avevano lasciato il posto all’indomani dello scoppio della guerra.

NON MANCANO però le voci di chi sostiene la scelta di «boicottare» gli Oscar. Nikita Mikhalkov, regista vicino a Putin, ha dichiarato al quotidiano «Tass» che non avrebbe avuto senso selezionare un film per rappresentare la Russia in un Paese che, in realtà, «nega attualmente la sua esistenza». Mikhalkov, che si era a sua volta dimesso dalla commissione di selezione per gli Oscar ad agosto, ha rilanciato la proposta di organizzare una cerimonia equivalente per l’Europa e l’Asia.
Un altro caso legato alla candidatura dei film per l’Oscar internazionale riguarda Hong Kong. È stato infatti scelto Where the Wind Blows di Philip Yung, dove gli attori interpretano quattro agenti di polizia notoriamente corrotti, saliti al potere nella Hong Kong degli anni ’60. La première del film era prevista per il 2021 all’Hong Kong International Film Festival, ma era stata improvvisamente cancellata per «motivi tecnici». Una formula utilizzata spesso e volentieri in Cina per giustificare la censura. Un segnale, secondo molti, di quanto l’industria cinematografica di Hong Kong stia scivolando sempre più sotto il ferreo controllo di Pechino. Where the Wind Blows è stato poi presentato allo stesso festival quest’anno, ma in quelle giornate il regista ha preferito trovarsi altrove.