Nel 1992, quasi un quarto si secolo fa, Genova si apprestava a cambiar pelle. Via la scorza grigia e livida, spazio ai colori e alle prime ristrutturazioni: a cominciare dal Porto Antico ridisegnato da Renzo Piano, ma ancora separato dal resto della città da pesanti cancellate. Era il cinquecentesimo anniversario della scoperta dell’America, e le autorità volevano celebrarlo. Una parte della città, quella dell’underground, delle «posse», della prima world music fece uscire un disco, in cui, polemicamente, i primi versi dicevano che non c’era niente da celebrare, in 500 anni di sfruttamento. E in questo panorama nasceva una band destinata a lasciare un bel segno forte nel mondo dell’indie rock, i Blinsdosbarra. Nome duro, scelto non a caso prendendo a riferimento la condotta ad alto voltaggio delle officine, provenienza operaia e proletaria, un brano simbolo cantato in genovese, C.U.L.M.V., vero e proprio inno antiretorico ai leggendari camalli della Compagnia Unica Lavoratori Merci Varie da troppo tempo sotto assedio dei benpensanti lividi di rabbia per quella gente ostinata che aveva contribuito a cacciare i fascisti a Genova nel ’60, e si incaponiva ad essere una fiera aristocrazia operaia senza padrone in porto. Se cliccaste «Culmv» su Youtube potrete trovare ancora il video, magnificamente definito «rusty» («rugginoso») da un commentatore: i Blindosbarra nella loro Genova, la voce di nerofumo e schegge di Angelo Bastianini, autore anche dello splendido testo, il «gancio» dei camalli usato per arpionare le merci che volteggia per aria contro le ingiustizie e le panzane.

I Blindosbarra hanno percorso vent’anni di storia, tra il disco iniziale, e le avventure finali del 2003. Quando iniziarono suonavano un funk rock teso, aggressivo e secco, incastonato sulla pulsazione del basso di Vittorio Della Casa, sulla scorta di quanto faceva James Chance dall’altra parte dell’oceano. Poi virarono verso lidi più smussati di Bristol sound e trip hop, trovarono il funk più nero e la produzione di Ben Young, avvicendarono musicisti e stili, si ritrovarono come frontman la più bella voce soul d’Italia, quella di Alberto «Bobby Soul» Debenedetti, piazzando ancora splendidi colpi, in altri tre dischi: come Vagabundo, come una cover a dir poco eccellente di Anime salve per il primo misconosciuto disco tributo a De André, Aia da respiä, del ‘99. Nel 2003 l’ultimo atto live, dopo centinaia di date macinate in giro per l’Italia e l’Europa, un Mtv Tour con Meganoidi, Punkreas, Bandabardò e altri gruppi. E poi? Spariti.

È con una grande emozione che il 25 Aprile (data non casuale) e il giorno successivo i Blindosbarra sono tornati sul palco. A Genova, Al Teatro Govi di Bolzaneto: «Genoa City Blues. Due notti live dieci anni dopo», il titolo. Sul palco la band a ranghi completi e tanti ospiti, al esempio il bizzarro e geniale Mr. Puma, oggi al lavoro con Pippo Delbono, il chitarrista jazz Marco Tindiglia, il primo vocalist e sassofonista Angelo Bastianini. Vittorio Della Casa racconta cosa successe, dopo l’uscita del quarto disco: «Nel 2004, dopo l’uscita di Blue Monday People, il disco con il titolo preso a prestito dall’amato Curtis Mayfield facemmo una serie di concerti in giro per l’Europa e capimmo che non c’erano più le condizioni per andare avanti. Mancava l’entusiasmo che aveva sempre contraddistinto le nostre performance, si erano molto consumati i meccanismi che ci avevano portato ad essere, quasi, una macchina da groove. I motivi erano noti, li avevamo dentro noi stessi: ognuno di noi era troppo impegnato a sopravvivere nel quotidiano e il mercato non era certo una di quelle cose di cui eravamo esperti».

L’ultimo decennio passato in pratica «dall’altra parte del palco e del disco», quella che il pubblico non vede: «Ho iniziato a fare lo stage manager nel 2001 lavorando per tanti concerti e show in giro per il mondo, oggi sono production manager di Steve Wonder, Justice, ho prodotto molti show all’Arena di Verona tra cui quello di Celentano e quello di Herbie Hancock e Lang Lang. In questo momento sto lavorando alla produzione di uno show per Bocelli e forse nel futuro ci sarà una collaborazione sempre più stretta con l’ Arena di Verona».

Una reunion dal vivo senza però quell’effetto nostalgia che spesso affiora: «Non ho avuto nemmeno il pensiero lontano della nostalgia, la nostra musica è quella che da più di cinquant’anni fa ballare la gente di tutto il mondo. Non è mai né di moda né nostalgica, è che suonare una cosa del genere per noi è talmente eccitante che, credimi, non ho nemmeno avuto modo di accorgermi che erano passati dieci anni dall’ultima volta». Blindosbarra ha lavorato e suonato in un’epoca, l’ultima, in cui l’idea di «disco» era ancora importante. Oggi non è più così… «Mi manca quell’epoca, perché oggi si è persa qualsiasi emozione dell’attesa di un’uscita discografica. Oggi tutto si consuma appena uscito e purtroppo la ’cultura di Ibiza’ come la chiamo io, con i dj che la fanno da padroni, ha contribuito in modo pessimo a peggiorare questa situazione. Personalmente non ho nessun problema ad accettare e a vivere i nuovi sistemi di comunicazione come opportunità, ma mi piacerebbe ci fosse più rispetto per lo sforzo di chi produce, pensa e suona».

Ma quale è stata la cosa, lezione, testo, o idea musicale migliore che Blindosbarra ha «lasciato in giro» nella musica? «Penso che la cosa migliore che abbiamo fatto sia stata occuparci dei rapporti tra le persone più che del rapporto con il mercato. Non ci è mai interessato, e purtroppo ne abbiamo anche pagato le conseguenze, confrontarci con logiche mercantili semplicemente perché ci mettevano sempre di fronte alla scelta ’mors tua vita mea’. Abbiamo imparato a essere vicini, fratelli in nome dell’amore verso qualcosa (la musica) che per noi rappresenta ancora oggi la più importante soddisfazione raggiunta a livello personale».

Rivedersi sul palco assieme a musicisti passati direttamente o indirettamente sotto il «glorioso nome» Blindosbarra ha comunque sortito un certo effetto… «Mi ha emozionato, dopo tanto tempo davvero rivedere tanta ’roba’ tutta insieme sullo stesso palco, ma mi ha emozionato e colpito ancora di più la passione e la voglia di tutti coloro che hanno accettato l’invito, cosa che mi fa capire che forse vale la pena ritirare fuori l’auto dal garage e provare a farla ripartire». E la registrazione di quello show finirà su qualche supporto fisico, ma non commercialmente, come ci tiene a farci sapere Della Casa: «Faremo un cd live e un dvd, non lo distribuiremo per venderlo ma per diffondere il funk. Che è la musica più bistrattata della storia insieme al free jazz».

Non si poteva chiudere l’incontro senza una domanda sugli ascolti, o riascolti, del momento: «Oggi ascolto cose come Dumpstaphunk, Lettuce, molte cose di New Orleans: letteralmente fulminato dal Nola Funk, Trombone Shorty, col quale ho anche lavorato, poi Soullive, molto jazz e r’n’b come quello di Roberto Glasper Experiment, ma anche Brian Blade, e anche qualcosa di Derek Trucks Band, come il brano Young Funk. Riascolto Bitches Brew di Miles Davis, Thelonious Monk e John Coltrane, e sto studiando tutte le ritmiche di James Brown in tutte le formazioni possibili. Le ritengo ancora oggi rivoluzionarie e futuristiche».