Ci sono libri che rispondono a più di un’esigenza. Tempo fa, Simonetta Fiori segnalava su Repubblica l’attività di alcuni editori italiani di saggistica che scelgono di pubblicare in inglese i loro testi, anche se scritti da autori di madrelingua italiana, allo scopo evidente di porre le opere al centro dell’attenzione internazionale. Lo scarso peso della nostra lingua sul mercato estero da una parte, la minore attitudine, rispetto al passato, di molti anglosassoni e statunitensi a cimentarsi con idiomi che non siano i propri dall’altra, sono responsabili del calo di attenzione verso la produzione del nostro paese; il che ci relega in una condizione di insularità poco invidiabile e fa sì che una parte (vi sono comunque le eccezioni) della produzione italiana sia poco fruita all’estero.

Possiamo quindi salutare con piacere un libro di autori italiani, coordinati da Maria Clara Rossi e Marina Garbellotti e pubblicati da Viella (fra gli editori più attivi in questo campo), che non solo è interamente in inglese, ma che affronta anche un tema di straordinaria attualità, venendo così incontro a una doppia esigenza. Adoption and Fosterage Practices in the Late Medieval and Modern Age (Viella, pp. 222, euro 35) parla delle pratiche di adozione e di affidamento fra tardo medioevo ed età moderna. Lo fa, inutile dirlo, in un momento in cui il tema è particolarmente dibattuto, soprattutto in relazione alle forme di «nuova famiglia» che guadagnano lentamente un riconoscimento. Ma, come leggiamo già dall’introduzione, anche in epoche precedenti un numero rilevante di famiglie sceglieva di adottare e prendere in affidamento in situazioni che potevano essere molto differenti tra loro e che, di conseguenza, portavano alla formazione di nuclei familiari non univoci: con buona pace di quanti pensano che il presente costituisca una rottura assoluta rispetto a «tradizione» e «natura», concetti più enunciati che spiegati.

Allo stesso tempo, anche al di là della stretta attualità, il tema delle adozioni è ben presente nella storiografia internazionale, ma ha avuto sinora scarso rilievo in Italia, nonostante gli archivi siano ricchi di documentazione atta a chiarire i contorni del fenomeno. Come sottolineano le curatrici nell’introduzione, «il problema cruciale nella maggior parte dei casi venuti alla luce è determinare la ’vera natura’ di questi accordi (di adozione) e le conseguenze concrete – sia personali sia legali – che avevano sugli adottati e sugli adottanti. Nella età medievale e moderna, infatti, il ’trasferimento’ di ragazzi e ragazze in una nuova famiglia era descritto impiegando il lessico dell’adozione, anche se spesso l’atto non dava vita a un vero rapporto adottivo. Invece, il collocamento poteva essere il risultato di un atto di carità o un più generico accordo di apprendistato». Soprattutto se si considera che il lessico era preso dal diritto romano, e nel mondo romano l’istituto dell’adozione aveva avuto caratteri suoi propri, differenti da quelli rivestiti nel medioevo e oltre. Molti fra i saggi sottolineano il ruolo rilevante degli istituti religiosi nelle pratiche adottive e di affidamento; e il libro nel suo insieme finisce per ribaltare un pregiudizio che vorrebbe la Chiesa cattolica contraria alle adozioni: quando, al contrario, pare averne favorito il corso. C’è, insomma, molto da leggere e da imparare da questi saggi, sperando che la lingua favorisca effettivamente la circolazione internazionale e non blocchi quella nazionale.

Sarebbe poi interessante provare a riflettere sulle ragioni per cui l’editoria italiana è invece così interessata, certo più delle controparti inglesi o francesi, a tradurre nella nostra lingua. Il che è pratica generalmente positiva, per l’ovvia ragione che rende disponibili anche per un pubblico non specialistico, che non leggerebbe cioè un saggio in lingue altre dall’italiano, opere interessanti. A volte, la xenofilia porta però a delle scelte curiose: come quella di tradurre un breve saggio della storica inglese Miri Rubin, Il Medioevo (il Mulino, pp. 122, euro 12) originariamente incluso in una collana intitolata «A very short introduction»: operette introduttive su una quantità di argomenti diversi. Non potendo certo restringere mille anni di storia in centocinquanta pagine, Rubin fornisce a volo d’uccello informazioni su temi vari: la cristianizzazione, i regni, la vita quotidiana, il rapporto con minoranze e alterità, gli scambi e l’economia. Non sappiamo che pubblico potrà avere; troppo vago per chi non conosce i quadri istituzionali, troppo striminzito per chi è in cerca di approfondimenti. Nondimeno è la prova di un’editoria, quella italiana, che cerca in più modi e strategie di far fronte alla crisi di libri e lettori.