Le svolte repentine nell’inchiesta sulla tragedia del Mottarone non hanno sciolto i dubbi sui perché dell’incidente che ha causato quattordici vittime. Quello che si sa è che cronologicamente prima si è spezzata la fune e, poi, essendo stato disattivato il sistema frenante la cabina è precipitata. Difficilmente si potrà, però, concludere con un unico responsabile additato della colpa; il caposervizio Gabriele Tadini, che ha ammesso il ripetuto utilizzo dei forchettoni per inibire i freni, è ora ai domiciliari. Restano, però, da chiarire i motivi della rottura del cavo traente su cui sta vertendo la perizia del consulente tecnico Giorgio Chiandussi (oggi incontrerà gli investigatori guidati dalla procuratrice di Verbania Olimpia Bossi) e dovrà, inoltre, essere messo in luce anche quell’ipotetico groviglio di responsabilità pubblico-private rimasto finora sullo sfondo. Chi gestiva ha investito in modo adeguato sulla sicurezza e chi doveva controllare lo ha fatto scrupolosamente?

LA ROTTURA DEL CAVO è stata individuata vicino alla testa fusa, il cuneo di piombo che si fonde nella parte terminale della fune e si aggancia alla cabina. Si tratta della zona più vulnerabile, ma anche la più difficile da controllare nell’analisi con il metodo magneto-induttivo, perché, fino a quel punto, non si riesce ad arrivare e la condizione viene verificata prettamente a vista. Per questo motivo, ogni cinque anni, in base alle prescrizioni del ministero, la testa fusa deve essere «rifatta»: l’operazione era prevista tra sei mesi in capo alla Leitner, la ditta esterna che si occupava della manutenzione periodica. I controlli giornalieri e settimanali spettavano, invece, alla società di gestione, la Ferrovie del Mottarone srl di Luigi Nerini. L’ultimo controllo magneto-induttivo alla fune, datato 5 novembre 2020, è firmato dalla torinese Sateco ed aveva dato esito positivo. Il report era stato inviato a Enrico Perocchio, direttore dell’impianto, che a sua volta l’aveva spedito all’Ustif, l’organo periferico del ministero delle Infrastrutture che sovraintende alle ispezioni di sicurezza.

NERINI E PEROCCHIO sono – dopo la decisione notturna della gip Donatella Banci Buonamici – liberi ma indagati. Il fermo in carcere non è stato convalidato perché secondo la giudice non sussisteva il pericolo di fuga e nel caso del direttore e del gestore c’era una «totale mancanza di indizi, se non mere, anche suggestive, supposizioni». I pm, però, non demordono e hanno messo sotto la lente le comunicazioni precedenti tra i tre. L’obiettivo è verificare se ci sono state indicazioni sull’uso dei forchettoni o sulle anomalie del sistema frenante. Ma gli inquirenti si stanno anche soffermando sull’operatore che domenica mattina non avrebbe tolto i forchettoni. Un dipendente-testimone ha messo a verbale il nome del lavoratore che quel giorno li mantenne sulla cabina 3 «su autorizzazione» di Tadini.

LA PROCURA DI VERBANIA vuole affrontare il quesito tecnico sulla fune e quello sui freni attraverso esami con la forma dell’accertamento irripetibile, per dare la possibilità ai difensori di nominare i propri consulenti. Da questi ulteriori approfondimenti potrebbero emergere anche altre responsabilità e non sono, appunto, esclusi nuovi indagati. Oggi, all’ombra del Mottarone, sono attesi gli ispettori della commissione nominata dal ministro Enrico Giovannini per un sopralluogo.

DALL’OSPEDALE Regina Margherita di Torino, infine, si apre uno spiraglio. Il piccolo Eitan, l’unico sopravvissuto, non è più in pericolo di vita. «Le condizioni sono in significativo miglioramento e questa sera (ieri, ndr) la prognosi è stata sciolta. È in costante miglioramento sia dal punto di vista del trauma toracico sia dal punto di vista del trauma addominale». Oggi il bambino uscirà dalla Rianimazione e sarà trasferito in un reparto di degenza. Sulla tragica vicenda di Eitan Biran è intervenuta la garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, invitando i media a evitare che l’attenzione suscitata da quanto accaduto «finisca per diventare, in nome di un sentimento pietoso, una forma di sfruttamento».