Un secolo è passato dalla rivoluzione russa del 1917.

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Quando, ormai più di un anno fa, pensavamo a come celebrare il peso di quegli eventi non immaginavamo ancora che la lunga iniziativa editoriale del manifesto, qui raccolta, sarebbe stata pressoché un unicum nella pubblicistica italiana.

Con tutta evidenza, quella eredità e quella parabola storica sono un rimosso per la politica e la cultura del nostro paese. Non così all’estero, dove nel corso di quest’anno ci sono state mostre, discussioni e convegni, sia sulla sua portata storica che artistica.

La lunga rivoluzione russa che iniziò nel febbraio del ‘17 non solo è stata un accadimento che ha sconvolto il secolo scorso ma anche – e oggi lo si vede bene – una fonte di imbarazzo per il presente.

Come un fuoco d’artificio troppo carico di ambizione e fallimento. O un improvviso colpo di fucile che mancò il bersaglio. Eppure non fu così. Non è così.

Decidendo il piano editoriale di questa cronaca a puntate, fin dall’inizio volevamo evitare di rinchiudere quella rivoluzione nel sarcofago della storia o trasformarla in una statua per la retorica. O peggio, recuperarla come il fossile di un grottesco brontosauro politico.

Abbiamo tentato qualcosa di diverso, di più modesto e di arrischiato al tempo stesso, qualcosa che rispecchiasse i limiti ma anche l’immediatezza del lavoro di un quotidiano politico come il nostro.

Abbiamo tentato di raccontarla come un evento del presente, meno storia e più cronaca, usando l’espediente letterario di un alter ego giornalistico interpretato da più autori che, grazie alla macchina del tempo, potesse  pubblicare sul manifesto di oggi il racconto in presa diretta delle giornate di cento anni fa.

Lo pseudonimo di Leone Levy doveva nascondere il narratore e far emergere la pura narrazione.

Ma Leone Levy siamo anche noi lettori, incuriositi spettatori di quegli sconvolgimenti. E grazie agli scrittori, ai giornalisti e agli intellettuali che lo hanno interpretato, quella grande rivoluzione del ‘900 è scesa dal piedistallo ed è tornata uomo, donna, soldato, operaio, generale, guardia rossa, rivoluzionario, ambasciatore, contadino, spia.

In due casi soltanto abbiamo deciso di farci da parte e lasciar parlare veri testimoni dell’epoca. Con la cronaca inedita del principe romano Scipione Borghese della rivoluzione di febbraio e, soprattutto, con le pagine  dell’americano John Reed sui giorni «sconvolgenti» dell’Ottobre.

[do action=”quote” autore=”Ottobre. Vladimir Majakovskij”]Aderire o non aderire? La questione non si pone per me. È la mia rivoluzione.[/do]

Questo gioco giornalistico avrebbe dovuto restituirci lo stupore, la curiosità, il terrore e l’entusiasmo provati da quei nostri lontani e ignari contemporanei.

Mentre per aiutare il lettore di oggi abbiamo scelto una serie di schede storiche (anche queste affidate ad autori di scuola e provenienza molto diversa tra loro) dedicata alla messa a fuoco di temi, problemi e personaggi che hanno segnato il corso della rivoluzione.

Un progetto simile non poteva essere racchiuso in una grafica convenzionale, perciò il volume che avete tra le mani è attraversato da un ulteriore livello di ricerca iconografi ca, spiegato qui accanto da chi lo ha curato e  realizzato.

Per i ringraziamenti e per i curiosi sul vero nome degli animatori di Leone Levy, bisognerà attendere l’ultima pagina di questa storia.

Buona lettura.

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Sulle orme di un maestro

Abbatti i Bianchi col cuneo Rosso» e «Per la voce».

Da qui siamo partiti, un manifesto e una raccolta di poesie di Majakovskij. Il manifesto è facile che lo abbiate visto tutti, rappresenta un triangolo rosso che entra in un cerchio bianco disposto su di un rettangolo nero in posizione obliqua. I rossi sono l’Armata rossa e i bianchi rappresentano i controrivoluzionari.

Le poesie invece sono un manuale di tipografia. L’artista descrisse così il suo lavoro: «Le mie pagine stanno alle poesie in un rapporto analogo a quello del pianoforte che accompagna il violino. Come per il poeta dal pensiero e dal suono si forma l’immagine unitaria, la poesia, così io ho voluto creare un’unità equivalente con la poesia e gli elementi tipografici».

Di chi stiamo parlando? Di El Lisickij, artista, tipografo, fotografo, pittore, architetto, grafico e soprattutto rivoluzionario.

Per la ricorrenza dei cento anni della Rivoluzione russa abbiamo deciso che questa volta non serviva disegnare un progetto grafico classico. Volevamo cercare di interpretare lo spirito di quegli anni. Abbiamo studiato, osservato, mangiato e digerito l’opera di Lisickij fino a farla diventare nostra, come dei falsari di opere d’arte.

Quando ci siamo sentiti pronti, abbiamo disegnato le pagine che vedete. Nessuna di queste composizioni è opera dell’autore, abbiamo usato i suoi stilemi, le sue forme, i suoi colori, tenendo sempre presente che erano passati cento anni e quindi andava fatta una sorta di rielaborazione e non una banale ricostruzione delle pagine da cui eravamo ispirati.

Un progetto forte, probabilmente e volutamente azzardato, senza mezzi termini, così come erano gli artisti che nella Russia rivoluzionaria operavano. Abbiamo recuperato i caratteri che l’autore usava all’epoca miscelandoli con «font» più nuove adatte alla lettura, studiato le inclinazioni che dava ai suoi triangoli, rettangoli e quadrati, esaminato e riprodotto il rosso dei due stampati da cui eravamo partiti.

Da traduttori, quali siamo stati, ci sentiamo onorati di aver potuto affrontare e lavorare con un genio che riteniamo tuttora un maestro della Rivoluzione.

Andrés Ladrillo e Costanza Fraia

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