Mentre il libro sui primi nove mesi di Trump, Fire and Fury, batte tutti i record di vendita e Oprah Winfrey (la Maria De Filippi d’Oltreoceano) viene promossa a nuova speranza dei democratici per le elezioni presidenziali del 2020, la normalizzazione della politica americana procede velocemente.

Tre avvenimenti nell’ultimo mese hanno mostrato che le cose stanno tornando alla normalità e cioè che la rivoluzione nazional-populista di Trump ha fatto il suo corso. Non che Trump sia diventato meno imprevedibile e distratto, tanto autoritario quanto incapace, no: il presidente rimane ciò che era ma le sue chiacchiere sullo spazzare via l’establishment politico-giornalistico della capitale («Prosciugare la palude di Washington!») si sono rivelate per quello che erano: chiacchiere, appunto.

I fatti sono questi: i 15 membri del governo Trump sono banchieri (il posto di ministro del Tesoro è andato a un ex di Goldman Sachs, Steve Mnuchin, come avviene dai tempi di Clinton e Bush junior, in perfetta continuità) oppure militari. Trump ha riempito il suo cabinet di esponenti delle lobby più consolidate: dalla finanza al Pentagono, con l’approvazione entusiastica della stampa progressista che vede nel triumvirato Mattis-McMaster-Kelly (rispettivamente ministro della difesa, consigliere per la sicurezza nazionale e capo di gabinetto di Trump) la garanzia che al presidente non verrà consentito di fare stupidaggini troppo pericolose.

Il vero tema del libro di Wolff Fire and Fury non è l’instabilità mentale del presidente (se Trump vuol giocare con Twitter perché ha l’insonnia che faccia pure) bensì la lotta senza quartiere tra la corrente «normalizzatrice» della Casa bianca, rappresentata dal genero di Trump Jared Kushner e dalla figlia Ivanka e la corrente fascistoide incarnata da Stephen Bannon. Uno scontro che i media americani hanno alimentato per tutto il 2017 ma che in realtà era già stato deciso l’estate scorsa, con l’arrivo del generale Kelly come capo di gabinetto e il licenziamento di Bannon.

Quello che doveva essere ovvio già allora è diventato palpabile con l’approvazione della riforma fiscale in dicembre, un gigantesco regalo ai miliardari e alle corporation, che non fa nulla per la classe media, oltre a scavare un buco di bilancio di dimensioni colossali per i prossimi dieci anni almeno. Non sarà poi l’apertura di tutte le coste americane alle trivellazioni petrolifere a migliorare i salari in Ohio o in Michigan, né l’occupazione trarrà vantaggio dalla costruzione di un muro al confine con il Messico, di là da venire, né da una guerra commerciale con la Cina che ancora non si è vista.

L’esplosione dei pettegolezzi su Trump contenuti nel libro (la cui fonte principale è stata Bannon, in odio a Kushner e Ivanka) ha occultato, negli ultimi giorni, due fatti ben più significativi della passione di Trump per gli hamburger McDonald’s consumati in camera da letto mentre guarda i suoi tre schermi televisivi. Il primo è la brutale rottura del presidente con Bannon, cui Trump non può perdonare di aver attaccato la famiglia, e in particolare i figli Don jr e Ivanka, accusati di essere i veri responsabili dei contatti con i russi in campagna elettorale, contatti sui cui indaga l’Fbi e che rischiano di deragliare la sua presidenza.

Il secondo è che, nonostante la rottura, Bannon si immaginava di poter giocare un ruolo politico autonomo grazie ai suoi stretti rapporti con due miliardari di estrema destra, Sheldon Adelson e Rebekah Mercer, che lo avevano sempre sostenuto in passato.

Al contrario, Rebekah Mercer ha pubblicato un secco comunicato in cui sostiene Trump, attacca Bannon e minaccia addirittura di cacciarlo da Breibart News, il sito nazional-populista che è stato decisivo nell’ascesa politica dell’artefice della vittoria elettorale di Trump nel 2016.

Se si mettono in fila questi fatti non è difficile capire che la demagogia del 2016-2017 ha riportato il partito repubblicano alla Casa bianca dopo gli otto anni di esilio con Obama ma ora ha fatto il suo corso, rivelandosi niente di più che l’utile strumento di politici di lungo corso come il leader dei senatori Mitch McConnell e quello dei deputati, Paul Ryan. Lo spauracchio Trump, l’uomo che doveva distruggere il partito, il potenziale dittatore amico di Putin è diventato uno strumento nelle loro mani. Certo, le sue bizzarrie continueranno ma le scelte fondamentali della politica ora si fanno altrove.