Dopo un anno e mezzo dal suo insediamento (avvenuto nel novembre 2012), il Presidente Xi Jinping ha dimostrato di avere le idee piuttosto chiare in quanto a gestione del suo (ampio) potere. Il suo carisma e la capacità di determinare quanto auspicato negli incontri ufficiali o informali, costituiscono un segno peculiare della sua leadership, capace di creare uno straordinario domino di eventi, intrecciati tra loro e successivi alle sue decisioni più rilevanti.

Per quanto riguarda l’esercito ad esempio, da tempo il numero uno di Zhongnanhai punta a una riforma capace di ammodernare le forze militari nazionali, dando più rilevanza all’aeronautica e alla marina, per contrastare le nuove e decisive tensioni nelle zone del mar cinese, contese con altri Paesi asiatici supportati direttamente o meno dagli Stati uniti. Obiettivo secondario è quello di scardinare il sistema di relazioni e promozioni legato ai vecchi generali, cresciuti in un esercito dove la componente «contadina», fin dai tempi di Mao, era dominante.

Si tratta di modernizzare, riformulare, rivoluzionare. Xi Jinping da sempre ha spinto per ripulire le forze militari dall’influenza dei «grandi vecchi», da quelle consuetudini cinesi che consentono ai leader in pensione di conservare sacche di potere tra i funzionari e il personale civile e militare dell’Esercito. Xi Jinping ha sottolineato anche l’importanza dell’eliminazione di quelle nicchie di corruzione, che costituirebbero un ostacolo alla nascita di un esercito tecnologicamente avanzato, in grado di rappresentare in pieno il «nuovo sogno cinese». Secondo Zhang Ming, professore di scienze politiche dell’Università Renmin di Pechino, «la sconfitta dell’esercito nella prima guerra sino-giapponese del 1894-1895 è dovuta alla corruzione tra i ranghi».

Tutti questi auspici del presidente cinese si sono raccolti nell’ultimo caso di corruzione ed espulsione dal Partito, che questa volta ha colpito molto in alto. Il fatto che la notizia di una purga sia giunta nel giorno del 93esimo anniversario di vita del partito comunista cinese (fondato a Shanghai il primo luglio 1921) chiarisce come la liturgia del Pcc abbia un senso e un peso ancora oggi. Il generale Xu Caihou – fino alla scorsa leadership membro del Politburo, nonché vice presidente della potente commissione militare centrale e ufficiale incaricato di supervisionare le nomine all’interno dell’Esercito Popolare di Liberazione – è stato infatti espulso dal Partito.

Si tratta di una mossa storica da parte di Xi Jinping, perché colpisce il militare in più alto grado nell’ultimo quarto di secolo e perché consuetudine vorrebbe che ex funzionari ormai in pensione, fossero lasciati in pace. Tanto più che secondo le indiscrezioni, Xu sarebbe in fase terminale per un cancro.

Xi Jinping mostra la pietà dei forti, quella che non c’è, rinnovando il messaggio, chiaro: nessuno verrà risparmiato. Secondo la stampa cinese Xu avrebbe preso più di 35 milioni di yuan; si tratta di un colpo anche politico: Xu viene considerato vicino a Jiang Zemin, che qualche mese fa, sentendo i passi di Xi molto vicini al suo cerchio magico, aveva specificato che le inchieste sulla corruzione rischiavano di ledere l’immagine del Partito agli occhi della popolazione.

Il problema per Jiang Zemin e gli altri papaveri dell’esercito nostalgici di una Cina che non è più, è che Xi Jinping è un rullo compressore, animato da volontà di scardinare vecchi meccanismi, togliersi di torno camarille non gradite, acquisire il controllo totale sui militari e animare le forze dell’esercito con una straordinaria riforma. Non sarà facile, perché nelle forze armate si nascondono i covi dei funzionari più conservatori del paese. Già nel 1988 Deng Xiaoping aveva provato un cambiamento, abolendo alcune dei distretti militari e dismettendo l’impero economico dell’esercito popolare, che aveva raggiunto un giro d’affari extra militare altissimo (operazione poi perfezionata proprio da Jiang Zemin).

Affidare uguale dignità e importanza alle forze aeree e navali, nell’ambito di un corpo militare abituato a sentire il peso dei generali «di terra», significa ribaltare gerarchie. A questo si aggiunge la visita di Xi in Corea del Sud. Un viaggio per più obiettivi: lanciare un segnale per Kim jong-un sul rischio che l’alleanza con Pechino si affievolisca e per i generali dell’esercito, che spingono per mantenere la relazione con la Corea del Nord, vista come cuscinetto contro un Sud a influenza Usa. Xi Jinping si muove, determina, all’interno di una tradizione ben conosciuta in Cina: «Uccidere il pollo, per spaventare la scimmia».