«È una grandissima vittoria per la nostra improvvisata campagna di raccolta firme», spiega al Manifesto Mahmoud Badr, uno dei leader del movimento Tamarrod che aveva chiesto un mese fa le dimissioni di Morsi. Sono in qualche modo i grandi vincitori della giornata di oggi. «La rivoluzione doveva essere confinata in uno spazio limitato, ogni manifestazione doveva concludersi con scontri e finire lì. Noi siamo voluti andare oltre questa logica», continua l’attivista.

«Abbiamo tentato di spostare le manifestazioni su ponti, strade e marciapiedi e ci siamo riusciti evitando la violenza», prosegue il giovane. I ribelli hanno fatto ricorso ad internet e sono stati immediatamente sorpresi dalla quantità di persone che ha aderito all’iniziativa. Mahmoud era certo che questo avrebbe comportato la fine del presidente eletto. «I Fratelli musulmani di fronte alla scelta tra presidenza e movimento sacrificheranno la prima per continuare con il secondo», prosegue con lucidità Badr. Anche i metodi usati dai ribelli sono semplici e innovativi. «Fare una campagna senza sit-in, scioperi e disobbedienza civile non avrebbe senso. Per questo abbiamo usato semplicemente fischietti e striscioni», conclude.

Alla caduta di Mubarak si era guardato alle nuove generazioni per favorire l’ascesa di una nuova leadership politica. Wael Ghonim era considerato uno dei favoriti tra gli attivisti del movimento informale che si era creato in piazza Tahrir. Ma l’ingegnere, non interessato a fare politica, dopo aver spinto milioni di persone in piazza con la sua pagina Facebook, aveva subito declinato l’invito.

Lo scontro tra vecchia e nuova generazione non ha segnato soltanto i movimenti secolari. I giovani della Fratellanza, quando il movimento islamista ha lasciato la piazza per raccogliere la schiacciante vittoria alle elezioni parlamentari del novembre 2011, hanno dato vita alla formazione Tyar el-Masri (corrente). Questi giovani islamisti hanno individuato in Abou el-Fotuh, medico sessantenne, il loro candidato ideale per le presidenziali. D’altra parte, giovani liberali e cristiani hanno rivolto il loro sguardo verso Mohammed El Baradei, Amr Moussa e Naguib Sawiris. Molti giovani cristiani hanno anche appoggiato l’altro escluso che potrebbe tornare in auge in queste ore, Ahmed Shafiq. Uomo di regime, amministratore delegato delle Linee aeree egiziane, Shafiq ha raccolto grande seguito tra i giovani militari e i nostalgici di Mubarak.

Ma alla vigilia delle presidenziali, era il giuslavorista Khaled Ali a raccogliere il voto giovanile, confluito nel cartello elettorale Thaura Mustamarra «Rivoluzione continua». Mentre ha conquistato folle di giovani il sindacalista Hamdin Sabbahi, ex leader del partito nasserista Karama «Dignità». I giovani rivoluzionari, insieme agli ultras della principale squadra di calcio egiziana, Al-Ahly, hanno denunciato per mesi il veto opposto ai movimenti laici dalla giunta militare insieme alla Fratellanza. E così i movimenti hanno manifestato contro il referendum costituzionale del 19 marzo 2011. I giovani dei movimenti hanno deciso, quindi, di non formare partiti politici, di boicottare le elezioni parlamentari, di opporsi duramente ai continui arresti di blogger e alle perquisizioni di ong, disposte dall’esercito.

Con la vittoria di Morsi i movimenti giovanili si sono espressi per il boicottaggio politico e sono stati stigmatizzati dall’élite islamista al potere e esclusi da ogni sede decisionale. I più attivi tra di loro si sono allora dedicati ad azioni di resistenza creativa: disegnando graffiti e incitando all’antipolitica. Ma ora potrebbe iniziare una nuova pagina per i giovani egiziani.