Il maker faire si potrebbe tradurre in italiano con la fiera del fai da te del nuovo millennio o dell’artigianato digitale, è un appuntamento annuale nato per mano della rivista Make nel 2006 a San Mateo in California, e che ora si è moltiplicato e si svolge in momenti diversi in tutto il mondo. Particolarità di questo evento e l’attirare sempre più gente interessata si ai prodotti esposti e venduti, ma anche alla cultura di base e l’ideologia che vi sta dietro, il maker e lo steam punk.

I campi di azioni di questa cultura comprendono l’ingegneria, l’elettronica, la robotica, la stampa 3-D, e l’uso di utensili dell’area digitale, nonché attività più tradizionali come la lavorazione dei metalli,e del legno ma non si ferma qui, questo tipo di cultura si apre a nuove applicazioni di vecchie tecnologie, e incoraggia l’invenzione e la prototipazione, vi è una forte attenzione sull’uso e l’apprendimento delle competenze pratiche e la loro applicazione in modo creativo.

Una buona parte della cultura maker è saldamente legata al movimento open source che si basa sulla condivisioni dei saperi e delle risorse intellettuali coniugandole con le competenze pratiche e tecnologiche.

I maker, come i sostenitori dell’open source, ritengono che questo approccio sia la base di nuovi processi di innovazione sia tecnologica che produttiva, nascono dal basso e si diffondono poi nel main stream cambiando il rapporto con gli oggetti, il loro utilizzo e la loro eventuale costruzione.

“La possibilità di riutilizzare i risultati, propria di chi usa l’open source – mi dice Gabriel che si auto definisce scrittore di codice – permette di progredire più velocemente. Anche di sperimentare più facilmente, di poter creare un unico prototipo, di sbagliare, di modificare un’idea iniziale migliorandola. Questo è il motore di questa nuova rivoluzione industriale. Non digitale, proprio industriale”

Spesso per realizzare l’unico e a volte definitivo prototipo il mezzo più diffuso è il crowdfunding, grande alleato dei maker.

Un esempio pratico di questo tipo di approccio pragmatico ed ideologico, presente al Maker Faire di New York che si è svolto il 20 e 21 settembre, è stato 3 Doodler, piccolissima ditta che produce una penna stampante 3D in grado di produrre un microfilo di materiale plastico, estremamente facile da utilizzare per creare oggetti di design.

“Siamo esattamente quello che si definisce una start up, anzi, il sogno della start up – dice Jane, una delle fondatrici – nel 2013 abbiamo messo il nostro progetto su Kickstarter cercando una cifra contenuta di 30.000 dollari, nel giro di pochi giorni avevamo raccolto $700.000 dollari, entro la fine del mese più di un milione di dollari, i più sorpresi di tutti eravamo noi. A inizio 2014 abbiamo cominciato le consegne”.

Molti sono gli stand che esibiscono il cartello di kickstarter per rendere nota la fonte del proprio capitale d’inizio e si ha la sensazione di essere di fronte ad un mondo parallelo dove funzionano regole diverse, anche più etiche, se vogliamo.

Non è una sorpresa incontrare il banchetto delle EFF, le Eletronic Frontier Foundation, associazione che si occupa di difendere i diritti civili digitali, lo sharing e ciò che è alla base dell’open source e il furgone di 2600, il gruppo hacker alla base della community che prende il nome dalla rivista e che organizza la serie di conferenze biannuale di Hope.

“Gli hacker hanno sempre predicato la cultura dello sharing, della condivisione – dice Emmanuel Goldstein, fondatore della rivista e punto di riferimento mondiale della cultura hacker – questo ora sta diventando mainstream, noi lo diciamo da decadi, che la condivisione, il software libero, sono la strada verso il progresso contro quella che porta all’oscurantismo e questo sta diventando evidente per tutti. Il maser faide è un luogo dove vengono famiglie, molti ragazzini, molti bambini, è un bene che sia così è un bene che il mainstream si stia accorgendo che esiste questo mondo, che è un mondo migliore”

Il gruppo di 2600 non è l’unica presenza hacker, ci sono anche i rappresentanti di Hack Manhattan

“Questo è il nostro ambiente – dicono a più voci persone che preferiscono non avere un nome ma un nick – Hack Manhattan è un hackspace, un luogo fisico dove le persone si incontrano per portare avanti i propri progetti e sperimentare, il più delle volte insieme. Il nostro spazio ha stampanti 3D, ovviamente computer di tutte le annate, attrezzi per lavorare con materiali elettronici, tessili, lignei.

Diciamo che per noi il maker faire è tutto l’anno, il maker faire è esattamente il nostro stile di vita”

Le stampanti 3D, nonostante non siano più una novità assoluta, sono sempre il punto di attrazione maggiore di ogni maker faire.

La sensazione è che intorno alla stampa 3D ci sia una curiosità fortissima indipendentemente dal suo utilizzo da una visione chiara di ciò che può essere il suo utilizzo, se ne vedono le enormi potenzialità e ve ne sono ovunque, così come i prodotti che produce, che vanno da piccoli elementi essenziali per costruire qualcos’altro ad un’intera macchina che si aggirava per il parco delle scienze, che come da tradizione ospita il maker faire newyorchese.

Altro punto di attrazione è lo spazio dedicato ad Arduino, microcontrollore presente nella maggior parte dei prodotti presentati alla fiera.

Arduino e un hardware open source composto da materiali i cui disegni sono disponibili e pubblici. Possono essere studiati, modificati, adattati alle esigenze di costruzione ed assemblaggio di altri. `E estremamente semplice ed è economico rappresenta in pieno la filosofia maker, i prodotti di arduino sono venduti nella catena americana di Radio Shack e sono decisamente fuori la nicchia.

Questa fiera è un luogo dove si può trovare di tutto, dalla robotica all’intaglio e dove il fai-da-te (Diy, Do It Yourself) si coniuga facilmente con il fallo-con-gli-altri (Diwo, Do It With Others)