Da ormai un decennio, Paul Weller ci ha felicemente abituati a una sorta di forsennata, ricerca musicale che sembra non conoscere sosta, né confini, perennemente alla ricerca di ridefinire le facce di un prisma musicale in continua mutazione. Muovendosi in uno spazio-tempo che sembra levigare le epoche musicali, il cantautore inglese oggi si presenta quasi spoglio con il suo True Meanings, essenziale e riflessivo, fin dal titolo, mazzetto di 14 canzoni bucoliche e pastorali, ritrovando una delicatezza compositiva che solo in parte abbiamo assaporato in passato, basti pensare a gemme come English Rose del 1978. Qui, insieme a ospiti come il maestro folk Martin Carthy, Noel Gallagher e Danny Thompson, il cantautore sembra portare a compimento quella «rivoluzione gentile» (titolo del disco precedente), immergendosi in un’atmosfera sognante, impreziosita da echi di Cat Stevens e Nick Drake, nenie, chitarre folk che danzano tra fiati e archi e che sembrano volerci inconsciamente cullare in attesa della sua prossima mutazione.