Mobilità , demansionamento, pensionamento obbligatorio, dimezzamento dei permessi sindacali. Non è un pranzo di gala. Ma per il momento neanche un disegno di legge, né un decreto. A dirla tutta non c’è neanche una slide. La riforma della pubblica amministrazione, che nel promozionale indirizzo di posta elettronico è già una rivoluzione – @governo.it – per il momento non è altro che l’elenco di alcune «linee di indirizzo». Rapidamente illustrate da Matteo Renzi, arrivato in sala stampa a palazzo Chigi senza le immagini di supporto (per la fretta si era dimenticato anche la penna) e senza nemmeno un elenco delle decisioni assunte dal Consiglio dei ministri. Che pure è stato lungo e per niente facile, visto che molti ministri – istruzione e salute innanzitutto – rivendicano la competenza sui propri dipendenti. «Le divisioni sono trasversali», riconosce il premier. In conclusione niente è stato messo nero su bianco.

In Consiglio Renzi ha spiegato le sue intenzioni, e così come le ha spiegate ai colleghi di governo le ha poi riassunte alla stampa, lasciando a tratti la parola alla ministra della funzione pubblica Marianna Madia. È evidente che ha dovuto mordere il freno: «La prima filiera di interventi potevamo trasferirla domattina in un disegno di legge». Ma non lo ha fatto. I suoi pensieri li offre così alla riflessione di tutti, come aveva fatto per la riforma costituzionale (salvo poi ignorare i suggerimenti e accusare di indietrismo i critici). Ma stavolta non per 15 giorni, addirittura per un mese e mezzo. Appuntamento al 13 giugno, Sant’Antonio da Padova. Quel giorno è già in programma il Consiglio dei ministri che dovrà licenziare il disegno di legge, a meno che non sarà un decreto, sulla pubblica amministrazione. Da notare che secondo il calendario del premier – già corretto in corsa – tre giorni prima (10 giugno) il senato dovrà aver votato la riforma del bicameralismo.

Giorni di gloria. Per il momento solo annunciati. Con una lunga email (quattro pagine) inviata ai circa tre milioni di dipendenti pubblici che, volendolo, potranno rispondere all’indirizzo rivoluzionario. La lettera è firmata Renzi e Madia. E comincia con un riassunto di tutto quello che il dipendente pubblico può ascoltare tutte le sere da tutti i tg: un elenco dei recenti successi del governo Renzi. Annunci, cui si aggiunge questo sulla pubblica amministrazione. Difficile addentrarsi nel merito degli interventi, pochi sono circostanziati e abbondano le intenzioni («modificheremo», «ci sarà la possibilità», «renderemo più rigoroso»). Dall’abrogazione dell’istituto del trattenimento in servizio, in pratica la rinuncia controllata al blocco del turn over, il governo stima la possibilità di assumere 14-15mila giovani. Sarà allargato il ricorso alla mobilità, anche non volontaria. Come alternativa all’esubero ci sarà il demansionamento.

Saranno dimezzati i permessi sindacali, una sfida alle organizzazioni dei lavoratori che Renzi rilancia: «Sono curioso di vedere se c’è qualcuno che difenderà questi permessi». Sul versante dei «tagli agli sprechi» si annuncia una stretta per gli enti di ricerca, che «sono oltre 20» e che «andranno accorpati». Così come saranno accorpati Aci, Pra e Motorizzazione civile. Annunciata anche la riduzione delle prefetture a 40, oltre a quelle nei capoluoghi di regione si salveranno quelle nei territori ad alta incidenza criminale. Ma anche le sovrintendenze saranno accorpate. Per la novità più spendibile con i cittadini, il codice elettronico Pin unico con il quale accedere online a tutti i servizi della pubblica amministrazione, bisognerà attendere. Renzi dice almeno un anno. Per tutto il resto di anni ce ne vorranno tre: fino al 2018.

Ma Renzi ci ha tenuto a presentare il pacchetto di annunci ieri. E con una capriola logica ha spiegato di aver rinviato i provvedimenti concreti, le leggi, per ascoltare le osservazioni dei dipendenti pubblici, e per «togliere dalla campagna elettorale la riforma». Avrebbe potuto semplicemente illustrarla quando era pronto a far approvare i disegni di legge. È lecito allora sospettare il contrario. L’annuncio può essere tutto elettorale: «Il conto alla rovescia è iniziato, il 13 giugno si decide, chi ha più tela tessa, però alla fine se cambiamo la pubblica amministrazione il paese cresce altrimenti rimaniamo nella melma».
Il messaggio è rivolto naturalmente ai sindacati. Sfidati direttamente con l’iniziativa di scrivere ai lavoratori, saltando l’intermediazione delle organizzazioni di categoria. «Il datore di lavoro non è vincolato a passare per i sindacati per rivolgersi ai suoi lavoratori», dice «padron» Renzi.