La storia umana è fatta di migrazioni. Un’affermazione che appare quasi banale, come quella che «homo sapiens», cioè noi, proveniamo dall’Africa . Ma oggi una nuova tecnica che permette di estrarre e studiare il Dna da reperti ossei di diecine di migliaia d’anni sta letteralmente rivoluzionando gli studi sul nostro passato. Le migrazioni sono state un fenomeno molto più ampio di quanto finora si immaginasse e homo sapiens si è mescolato ripetutamente ai Neanderthal («interbreeding» è il termine tecnico) ed è arrivato fino in Asia e da qui sembra sia tornato di nuovo in Africa. In altre parole le popolazioni umane si sono spostate e mescolate molto di più di quanto gli studi archeologici, paleontologici e linguistici avessero fin qui immaginato.
Quella che è stata chiamata «rivoluzione del Dna antico» sta rapidamente e radicalmente cambiando la conoscenza della preistoria. A raccontarci questa storia in un libro affascinante,con uno stile comprensibile e mai banale, è uno dei suoi principali protagonisti: il genetista David Reich dell’Università di Harvard nel suo libro Who we are and how we got here (Chi siamo e come siamo arrivati qui, Oxford University Press).

TRACCE DI DNA possono rimanere nelle ossa dopo la morte anche per decine di migliaia d’anni. Dal 2009 è stato inventato un metodo per estrarre e purificare questi pezzettini della molecola elicoidale e leggere il codice genetico lettera per lettera. La tecnica è stata messa a punto fra gli altri da Svante Pääbo del Max Planck Institute di Leipzig in Germania e dallo stesso Reich.
L’analisi del Dna antico comparato a quello delle popolazioni viventi oggi ha fornito una quantità di nuovi dati ed evidenze. È stato scoperto – per esempio – che la popolazione del Nord Europa è stata quasi interamente soppiantata, circa cinquemila anni fa, da una migrazione di massa proveniente dalle steppe dell’Europa orientale. È stato confermato che l’agricoltura si sviluppò nel Vicino Oriente più di diecimila anni fa presso una serie di popolazioni umane molto diverse fra loro che si erano mescolate ed espanse in tutte le direzioni, con il diffondersi delle coltivazioni.

La rivoluzione del Dna antico ha anche documentato che le prime popolazioni di agricoltori, nelle regioni più remote d’Europa come in Bretagna, Scandinavia, penisola Iberica avevano – al contrario di quanto si pensava con il modello fin qui prevalente della «diffusione demica» – solo una minima parte di ascendenza da popolazioni di cacciatori-raccoglitori. È curioso notare che la più alta proporzione di tracce genetiche di culture di agricoltori, non sono state trovate nel sud est dell’Europa come si poteva immaginare, ma in Sardegna. Le nuove ricerche dimostrano anche che è difficile che le popolazioni che vivono oggi in una certa area discendano esclusivamente da popolazioni che vissero nelle stesse località nel passato antico.

Fra le scoperte più importanti – quella su cui non c’è più alcun dubbio – è che quelli che possiamo definire «umani moderni» si incontrarono e convissero con i Neanderthals. Questa popolazione sparì dall’Europa Occidentale circa 39mila anni fa. L’arrivo degli «umani moderni» era avvenuto da almeno tre/quattro mila anni. Lo provano anche diversi ritrovamenti di strumenti come quelli delle Cave di Fumane in provincia di Verona di 44mila anni fa. I «moderni» si spostarono a Nord dell’Africa, attraverso l’Egitto e il Sinai in diverse ondate migratorie. Intorno a 60mila e 50mila anni fa avvennero alcuni degli spostamenti più importanti verso l’Europa e l’Asia. 35mila anni fa homo sapiens era ormai l’unica specie umana rimasta sulla Terra.

LE RICERCHE di David Reich e della sua equipe hanno provato che homo sapiens si mescolò, riproducendosi, non solo con i Neanderthal ma anche con i Denisoviani: una misteriosa popolazione scoperta dieci anni fa grazie all’osso di un dito di bambino trovato in Siberia meridionale. Il piccolo osso ha fornito uno dei migliori campioni di Dna del passato finora disponibili. L’ossicino ha messo a disposizione infatti una intera sequenza del genoma. Da questa si è cercato di comprendere se questa popolazione avesse qualche relazione con alcune delle popolazioni odierne. Questo ha portato a una sorpresa: i Denisoviani erano infatti più vicini, dal punto di vista genetico, agli abitanti della Nuova Guinea che a qualsiasi altra popolazione dell’Eurasia. Incredibilmente, tenendo presente che la Grotta di Denisova dista dalla Nuova Guinea circa 9mila chilometri con un tratto di mare per lo mezzo.

L’UNICA IPOTESI di risposta verosimile era che gli antenati dell’uomo moderno si fossero divisi in diverse popolazioni centinaia di migliaia d’anni fa e che segmenti del loro Dna fossero entrati a far parte della discendenza degli abitanti della Nuova Guinea in India o in Asia meridionale. L’interbreeding fra uomini arcaici e moderni durante le migrazioni non era stato un evento sporadico.
«Una delle implicazioni profonde della scoperta dei Denisoviani – scrive Reich – è stata che l’Eurasia orientale rappresenta una fase centrale, e non secondaria, dell’evoluzione umana, come invece spesso suppongono gli occidentali».
Il confronto del genoma dei Denisoviani, dei Neaderthal con quello di alcune popolazioni che vivono oggi in Eurasia, fa anche ipotizzare l’esistenza nel passato di almeno un’altra «popolazione fantasma» di cui non abbiamo per ora alcun reperto fossile ma la cui esistenza può essere ipotizzata per il contributo genetico innegabile dato a popolazioni vissute successivamente. È stata confermata invece l’esistenza in Indonesia fino ad una diecina di miglia di anni fa di una specie di nani gli «hobbits» dell’isola di Flores.
«Questi cinque gruppi di umani e probabilmente ancora altri non ancora scoperti che vivevano all’epoca erano ciascuno separato da centinaia di migliaia d’anni d’evoluzione». La testimonianza di antichi scheletri mostra che la prima importante migrazione di homo erectus verso l’Eurasia avvenne almeno un milione e 800mila anni fa.

SECONDO UNA IPOTESI formulata da Reich – basata su molti indizi ma per ora non provata – una migrazione avvenne anche in senso contrario, cioè un ritorno in Africa che avrebbe poi portato all’evoluzione dell’uomo moderno. L’aver riconosciuto che l’Africa è centrale per la storia umana avrebbe paradossalmente – secondo Reich – distratto l’attenzione dagli ultimi 50mila anni della preistoria africana. Come se la storia si fosse fermata e le popolazioni rimaste nel continente non avessero più avuto evoluzioni. «Quelli rimasti indietro» cambiarono invece tanto quanto i discendenti delle popolazioni che erano emigrate.
«La storia umana durante le ultime decine di migliaia d’anni in Africa è una parte integrante della storia della nostra specie. Focalizzare l’attenzione sull’Africa come il luogo dove ha avuto origine la nostra specie, mentre apparentemente sembra sottolineare l’importanza dell’Africa, paradossalmente fa un torto all’Africa distogliendo l’attenzione dalla domanda di come le popolazioni rimaste in Africa siano divenute quello che sono oggi. Grazie al Dna antico e moderno questo può essere corretto».

I CAPITOLI SUCCESSIVI del libro si occupano di periodi più recenti della preistoria Europea con, ad esempio, la cultura del popolo dei Yamnaya: pastori che dalle steppe dell’Asia Occidentale arrivarono fino alla Gran Bretagna dove si sovrapposero alle più antiche culture megalitiche.
L’autore si pone poi anche alcune domande di fondo sulle nostre origini e sul futuro basandosi sulle evidenze della genetica. Che senso ha e che vuol dire parlare di «razza» oggi? Cosa ci accomuna ? Cosa significa identità? La tecnologia del Dna antico è un potenziale straordinario; più rivoluzionaria per lo studio del passato, e del presente, di qualsiasi altra. Compresa la datazione al radiocarbonio.