Xi Jinping, uomo solo al comando della Cina, è nella storia. Ne sarebbe probabilmente fiero il padre, Xi Zhongxun, esponente di spicco della prima generazione dei leader e considerato un riformista. Ci potranno essere questioni inerenti alle riforme di carattere economico ancora da capire, sondare, analizzare, ma la riforma della legge del figlio unico, l’abolizione dei campi di rieducazione attraverso il lavoro (i laojiao), la riduzione dei reati punibili con la pena di morte e la riforma del sistema dell’hukou, il permesso di residenza, costituiscono in un colpo solo il più grande cambiamento sociale cinese degli ultimi trentacinque anni. Solo Deng Xiaoping, citato nel testo con il quale Xi Jinping ha comunicato ai membri del Partito le decisioni, aveva stravolto in modo così forte il paese negli anni del dopo Mao. Xi Jinping ha dimostrato tutto il suo carisma, tenendo fede a quanto si era discusso nei mesi scorsi: riforme economiche epocali, abolizioni e modifiche di legge trentennali e centralità del Partito.
Nel comunicato – in cinese – letto ai membri del Comitato Centrale Xi Jinping ha enunciato dieci aree di intervento, usando toni anche epici, da leader determinato a raggiungere i propri obiettivi. «Dobbiamo avere la mente aperta, ha detto, cercare la verità nei fatti» e ha invitato il Partito a «promuovere le riforme e rafforzare la fiducia e coraggio.Dobbiamo condurre il nostro popolo a svolgere questi cambiamenti rivoluzionari; il nostro Partito si basa sul fatto di ispirare le persone».

La legge sul figlio unico e i campi di lavoro

Nei giorni che hanno preceduto il Plenum era stata annunciata la Riforma della legge del figlio unico, in vigore dal 1979. Con un comunicato ufficiale il Partito ha confermato la sua modifica, che permetterà alle coppie composte da almeno un figlio unico di poter aver più di un erede. Si tratta di un cambiamento in discussione da tempo, che costituisce il tentativo di ovviare all’invecchiamento della popolazione e alla predominanza di maschi.
Storica anche la decisione di abolire i campi di lavoro, i noti laojiao, creati a fine anni 50 per eliminare gli avversari politici e che nel corso del tempo sono diventati il luogo dove vengono messi, quasi sempre senza processo, prostitute, ladri, petizionisti o membri di sette religiose. Si tratta di una riforma importante; Nicholas Bequelin, di Human Rights Watch, lo definisce «un passo molto positivo per i diritti umani in Cina, anche se non è ancora chiaro quale tipo di istituto lo sostituirà. Eliminare i campi di lavoro era importante perché il sistema è arbitrario, abusivo, anticostituzionale, e minava gli sforzi per migliorare la giustizia penale in Cina» Secondo Human Rights Watch, sarebbero almeno 160mila le persone che dall’inizio dell’anno sono rinchiuse nei campi di lavoro: «il numero è diminuito in modo sostanziale quest’anno, dopo che la polizia ha interrotto l’invio di nuove persone nei campi di lavoro. L’abolizione del laojiao, però, non significa che le persone precedentemente rinchiuse saranno liberate immediatamente. Alcuni saranno trasferiti in altre strutture». Nei documenti riguardo le riforme nel campo della giustizia si parla anche del miglioramento delle condizioni di lavoro per gli avvocati, ma Bequelin al riguardo è scettico: «la parte che riguarda gli avvocati non è incoraggiante, queste volontà sono state esplicitate molte volte, ma non hanno mai avuto effetto. L’unica riforma significativa sarebbe quello di consentire ordini degli avvocati indipendenti; si tratta di questioni aperte da tempo». Questi annunci sebbene incoraggianti, «non devono essere presi come passi verso una riforma politica – specifica Bequelin – e non ci sono segni che il governo cinese intenda ammorbidirsi con il dissenso o la critica. Piuttosto sono stati progettati per affrontare il problema della mancanza di fiducia dei cittadini cinesi nelle istituzioni giuridiche, che il partito vede come un rischio potenziale per il suo monopolio a lungo termine. Queste riforme mirano pertanto a frenare i difetti più evidenti del sistema giudiziario della Cina per preservare la legittimità e l’autorità del Partito».

Stretta su Internet e il Consiglio di Sicurezza

Non a caso, nell’ambito dei documenti rilasciati dal governo cinese rientrano anche quelli relativi all’istituzione del Consiglio di Sicurezza e al feroce controllo di Internet, del dissenso on line e della sicurezza informatica. Le aperture economiche e sociali, infatti, avvengono all’interno di una presa di forza del Partito riguardo la centralità nella vita politica locale. Come ha sottolineato Xi Jinping nel suo discorso, il Partito deve rafforzare la propria presenza tra il popolo, coinvolgendolo attivamente, in modo da evitare potenziali tensioni sociali che ne mettano in discussione il dominio. «La sicurezza dello Stato e la stabilità sociale, sono le precondizioni per le riforme e lo sviluppo», ha specificato Xi Jinping, illustrando l’importanza del comitato di sicurezza. Il capo di questa nuova struttura sarà Xi in persona e l’istituto avrà una caratteristica tutta cinese: svolgerà un ruolo di garante della sicurezza interna rispetto ai problemi cruciali per la Cina come il Tibet e lo Xinjiang e avrà il ruolo di controllare anche eventuali intrusioni esterne, focalizzandosi soprattutto sulla sicurezza informatica. Analogamente sarà rafforzato il controllo – già pesante – sulle reti informatiche locali: Internet pone nuovi problemi alla dirigenza per la gestione dello scontento sociale e ad ora le uniche risposte sono repressive.

Hukou, mercato e terra

Anche l’annunciata riforma del permesso di residenza è un successo della gestione di Xi Jinping: per i migranti sarà più semplice ottenere l’hukou e accedere a servizi sociali migliori. Si tratta di una necessità storica per la Cina, al pari della legge del figlio unico: sviluppare il mercato interno rende obbligatorio dotare i neo cittadini della possibilità di spendere e accendere il motore ai consumi interni.
Il documento del Presidente, infine, torna con molta forza sul concetto di «mercato» come motore fondamentale dell’economia. Se viene specificato il mantenimento di un settore pubblico, è altresì chiaro come la strada intrapresa sia sempre di più verso l’ingresso di capitali privati nell’economia nazionale. Il documento di Xi ha chiarito il ruolo decisivo del mercato nella fissazione dei prezzi: una spallata non da poco alle grandi aziende di stato che entro il 2020 dovranno restituire il 30 percento dei propri profitti al governo.
«Storica» anche la riforma della terra, problema endemico dell’economia cinese e sulla quale si sono giocate le speculazioni più gravi dell’attuale sistema (su tutte la bolla immobiliare). La Cina migliorerà i meccanismi di coordinamento dello sviluppo urbano e rurale, «in uno sforzo per consentire agli agricoltori di condividere i frutti della modernizzazione del Paese. La doppia struttura economica urbano-rurale del paese – si legge nella nota del governo – è l’ostacolo principale per l’integrazione dello sviluppo delle zone urbane e rurali». Più di tutto si consentirà ai contadini di ottenere una fetta della torta dalla eventuale vendita dei terreni, per ora intascata solo dai funzionari. A questo proposito, questa riforma è «sulla terra», ma sembra confermare un dato ormai incontrovertibile: l’urbanizzazione cinese non avrà ancora termine.