È molto probabile che fra tutte le commemorazioni che saranno scritte su Fidel Castro mancherà un aspetto della sua opera che ha avuto un’influenza determinante sulle scelte e le caratteristiche della Rivoluzione cubana, ma che è poco noto tanto ai suoi fautori che ai suoi detrattori: e cioè l’ostinata (come erano tutte le sue idee) convinzione che Cuba, per attuare veramente gli ideali della Rivoluzione e vincere la sfida di affrancarsi dalla condizione di partenza di subalternità, dovesse sviluppare un sistema di ricerca scientifica e di salute pubblica al livello dei paesi sviluppati.

L’impresa di conquistare una condizione di reale autonomia non è mai riuscita pienamente a nessun paese in via di sviluppo, a meno di svilupparsi in dipendenza delle realizzazioni di una potenza dominante, come ha fatto la Corea del Sud, anche in campi avanzati come l’elettronica o l’energia nucleare. Questa strategia, che comunque è riuscita a paesi molto più grandi di Cuba, è legata sia a fattori generali che possono venire meno (com’è avvenuto per le cosiddette «Tigri asiatiche» con la crisi del 1998), sia al destino della potenza di riferimento (com’è avvenuto per i paesi del Blocco comunista dopo il crollo dell’Urss).

LA PICCOLA CUBA (la cui superficie è appena un millesimo delle terre emerse, e ospita appena 1,5 per mille della popolazione mondiale) con scarse risorse è riuscita nell’impresa di conquistare nel giro di tre decenni una condizione di autonomia sostanziale, che ha retto – unico paese del Blocco comunista, e contro tutte le previsioni – alle terribili conseguenze del crollo dell’Unione societica nel 1989.

La giovanissima dirigenza rivoluzionaria (si andava dai 29 anni di Fidel ai 24 di Camilo Cienfuegos) aveva ben chiaro dall’inizio che per riscattare realmente il paese dalla condizione di subalternità era necessario sviluppare, malgrado le condizioni tutt’altro che favorevoli, un sistema scientifico avanzato, al livello dei paesi più sviluppati.

Significativa fu l’affermazione, in apparenza spavalda, di Fidel Castro nel 1961: «Il futuro di Cuba dev’essere necessariamente un futuro di uomini di scienza», che incredibilmente si è trasformata in realtà! Riuscendo a mobilitare con la Rivoluzione tutte le risorse intellettuali del paese (meglio, quelle che non abbandonarono il paese dopo la Rivoluzione) attorno a un progetto ambizioso, moltiplicandone le potenzialità. E i metodi sleali degli Usa anziché indebolire la Rivoluzione si sono trasformati in induttori di poderose sinergie. Come afferma un autorevole studio di origine non sospetta: «Dopo la rivoluzione del 1959 Cuba si diede come priorità di trovare nuovi metodi per provvedere a una popolazione povera; parte della soluzione fu la formazione di medici e ricercatori» (D. Starr, direttore del Centro di Giornalismo Scientifico e Medico dell’Università di Boston).

IL MODO IN CUI CUBA ha realizzato questa impresa incredibile è stato assolutamente straordinario, facendo ricorso in modo quasi spregiudicato a tutti i tipi di apporti e incorporandoli in un sistema scientifico originale. Così, nella fisica e in certe tecnologie i cubani si appoggiarono pesantemente all’Unione Sovietica che in questi campi era all’avanguardia, ma si aprirono fin dai primissimi anni anche al contributo attivo di scienziati e istituzioni «occidentali»: con entrambi questi supporti Cuba raggiunse nel giro di 15 anni un livello paragonabile a quello dei paesi latinoamericani molto più grandi e ricchi e con maggiore tradizione scientifica.

Nel campo della biologia moderna, dove la Russia per ragioni ideologiche era rimasta tagliata fuori dalla genetica moderna e dalla biologia molecolare (da quando negli anni ’30 l’agronomo Trofim Lysenko, negando i principi della genetica, aveva sostenuto la tesi della trasformazione delle specie provocata da cambiamenti ambientali), i cubani, pur facendo parte del Blocco dei paesi socialisti, ricorsero direttamente al supporto di scienziati occidentali. In particolare (e anche questo è poco noto) fu la giovane generazione di biologi italiani che nei primi anni ’70, con corsi appositi e intensivi, formò l’attuale generazione di biologi e genetisti cubani.

Questa applicazione eclettica delle conoscenze scientifiche avanzate si è associata a Cuba con la subordinazione di tutte le scelte alle necessità della Rivoluzione e ai bisogni primari della popolazione. Fu proprio Fidel a promuovere lo sviluppo di un sistema sanitario efficiente ed esteso a tutta la popolazione, che in pochi anni sradicò le infermità che affliggono i paesi poveri, e portò il profilo sanitario dei cubani al livello dei paesi sviluppati. E fu Fidel che fin da primi anni ’80 si ostinò con sorprendente lungimiranza nello sviluppo delle biotecnologie, quando queste erano ai primordi del loro sviluppo in tutto il mondo, promuovendo i contatti con i paesi allora più avanzati (in particolare la Finlandia, poi la Francia). Nel 1986 per sua esplicita scelta venne costruito un grande Centro de Ingeniería Genética y Biotecnología (Cigb), equipaggiato con la strumentazione più moderna disponibile (affrontando costi più alti a causa dell’embargo degli Stati uniti, anche se il Centro costò complessivamente un decimo di quanto sarebbe costato negli Usa), che adottò un ciclo integrato che andava dalla ricerca, alla sperimentazione clinica, alla produzione e alla commercializzazione. Cuba ha realizzato nella biotecnologia, con ulteriori centri specializzati legati al sistema sanitario, un modello alternativo a quello capital-intensive che domina a livello mondiale, e particolarmente dedicato alle malattie tipiche del Terzo Mondo, snobbate dalla logica del profitto dell’industria farmaceutica.

QUANDO IL CROLLO DELL’URSS nel 1989 mise in ginocchio l’economia cubana, il governo adottò nuovamente la strategia utilizzata all’inizio della Rivoluzione di puntare sull’eccellenza in campo scientifico: molti settori furono duramente penalizzati dai colpi della crisi, ma il sistema scientifico cubano nella sostanza resse, e Fidel investì somme considerevoli per sostenere e sviluppare ulteriormente la biotecnologia. Come scrive il già citato Starr: «Di fronte alla calamità economica, Castro fece una cosa eccezionale: investì centinaia di milioni di dollari nei medicinali». Questa scelta coraggiosa fu ancora una volta lungimirante: dagli anni ’90 i servizi collegati alla salute e ai farmaci biotecnologici costituiscono una delle più importanti fonti di ingresso di valuta pregiata per Cuba.

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La politica promossa da Fidel avrebbe molto da insegnare a noi: un paese che riponga speranze sul futuro e punti al benessere del suo popolo non taglia, ma piuttosto promuove l’istruzione, l’innovazione e il servizio sanitario pubblico, soprattutto in condizioni di risorse limitanti. Un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma a proposito che «Cuba è un esempio in cui una strategia ben sviluppata di salute pubblica ha generato indicatori comparabili a quelli dei paesi industrializzati. Nonostante le limitate risorse, il sistema sanitario cubano ha risolto i problemi che altri sistemi sanitari nazionali non sono stati in grado di risolvere. I risultati di salute pubblica di Cuba si basano in primo luogo sul principio che la salute è un diritto della sua popolazione e, secondo, sullo sviluppo delle seguenti aree: un sistema sanitario nazionale, la formazione delle risorse umane, lo sviluppo della ricerca e della produzione biofarmaceutica, e la creazione di una programma internazionale di cooperazione sanitaria e assistenza». (Oms Report, 2015, pag. 48, Cuban experience with local production of medicines, technology transfer and improving access to health). 

Indubbiamente oggi Cuba si trova di fronte sfide nuove, il cui esito è assolutamente imprevedibile, ma la lungimiranza di Fidel ha lasciato una traccia che difficilmente potrà venire cancellata.