Mentre la Russia, il paese straniero con i più forti legami con Cipro, sta considerando di denunciare lo stato ciprota per le perdite in cui sono in sono incorsi i suoi finanziamenti, mentre lo stato, nella persona del presidente Anastasiades, dichiara di voler aprire un’investigazione per trovare i «colpevoli della situazione attuali e metterli in carcere», e mentre tutti gli strati della popolazione sono in rivolta per le scelte – forzate o no che siano – operate dal governo e dalla comunità europea, ci si chiede: non sono forse queste le basi di una guerra civile?

Le rivoluzioni in Europa sono storicamente nate dalla borghesia intellettuale, ma qui ci troviamo, non solo (e non tanto) in un’Europa tanto a oriente da essere quasi Medioriente, ma soprattutto in una nuova Europa, un’Europa fatta di nuovi cittadini europei: i  parvenues, oppure i nouveau riches di cui tanto si parla e ancora poco si capisce.

L’orgoglio di un tale gruppo informe – perché i nouveau riches non sono un ceto definito e possono rappresentare l’armatore quanto il software designer quanto il tassista imprenditore di se stesso – ha sostituito l’orgoglio di casta, o di ceto; è stato sostituito dall’orgoglio, più vago ma forse ancora più pericoloso, di nazione, in una forma di nazionalismo tutto privato, che ha poco a che vedere con quello della vecchia Europa ottocentesca o delle nuove regioni balcaniche o che gravitano nell’area russa, e tanto a che vedere con il senso di essere cittadini degni perché si arricchisce il proprio paese.
Tutto ciò che impoverisce lede anche la persona, poiché un nouveau riche equipara la moralità alla pecunia e quindi difende i beni materiali con la stessa aggressività con cui difende l’onore.
L’isola di Cipro sta cercando di toccare il meno possibile i beni dei suoi cittadini e lo stato ha fatto leva sulla società elettrica perché abbassasse le bollette (e lo ha fatto ieri di un ulteriore 3%). La retorica circa i «responsabili» della situazione economica attuale ha senso solo se viene letta come tentativo di trovare un capro espiatorio da gettare in pasto alla folla che lancia arance contro le forze dell’ordine. Non pomodori, né altro frutto o ortaggio: arance.

C’è un vecchio adagio a Cipro che dice che l’isola produce le arance più grandi del mediterraneo. La guerra delle arance è proprio la guerra simbolo di un popolo che combatte in nome del proprio buon nome e usa le sue armi migliori. Se si pensa poi agli estremi a cui si è arrivati ultimamente, si comprende che il ribollire della rivolta sta raggiungendo l’esplosione della guerra civile. I luoghi a essere stati colpiti più duramente sono stati i cimiteri in cui persone disperate si sono recate per rubare fiori, cornici di foto, piante, vasi e persino candele.

L’esasperazione dei ladri ha centuplicato quella dei derubati anche perché Cipro, isola profondamente religiosa, non può passare sopra alle profanazioni di tombe e, pare, anche di chiese. Un’isola che non manifestava seriamente da tempo contro la divisione che ne affligge e viola l’unità si è unita nel protestare con violenza crescente contro la violazione del patrimonio. Vae parvenues, verrebbe da dire.
Nonostante la situazione critica, Cipro continua a rivestire il suo ruolo chiave nel Medioriente e il presidente Anastasiades sta preparando una visita in Israele che rientra nel piano più grande di avvicinare Turchia e Israele.

Il FIleleftheros, il giornale in lingua greca più letto dell’isola, sostiene che in cima alla liste delle cose da discutere c’è l’energia, o meglio uno scambio d’energia. Dopo l’esplosione della centrale energetica di Cipro un paio d’anni fa, è sintomatico che in un momento di crisi Cipro vada a discutere di fonti energetiche in un paese che si è appena avvicinato alla Turchia – il paese che rivendica la sovranità sul gas naturale scoperto al largo di Cipro Sud.