Formidabili quegli anni, verrebbe da dire rammentando il titolo di un libro di Capanna. Gli anni in cui la canzone d’Autore riusciva a essere, in tempo reale con la società attorno caotica e vitale, voce critica e racconto, apologo e sferza. Gli anni di Gaber, di Guccini, di Claudio Lolli. E di Gian Piero Alloisio, che con la sua Assemblea Musicale Teatrale prima, da solista poi ha incrociato sistematicamente le piste di quei grandi, diventando grande a sua volta, e dividendo la sua vita tra teatro, canzone, drammaturgia, libri, grandi eventi spettacolari e mille altre iniziative. Dopo aver dato alle stampe e portato sui palchi la sua storia con Giorgio Gaber, adesso Alloisio porta in scena Il Maestrone / I miei anni con Francesco Guccini, le parole delle canzoni e la rivoluzione italiana. Sul palco, accanto a Alloisio, le chitarre affilate e inventive di Gianni Martini, una vita in musica divisa con Alloisio. In prima nella sua Genova al – teatro della Tosse ha debuttat il 7 dicembre, prossimamente lo vedremo in giro per l’Italia.

E UN GIOCO d’intarsi e di rimandi sorprendente e fluido, Il Maestrone di Alloisio, perché l’occasione per ricordare la storia in comune con un gigante della canzone d’autore diventa, anche, riflessione amara (non amareggiata) sull’insipienza dell’oggi. Un oggi in cui vige una sorta di molecolare solipsismo travestito da consenso di massa per chi ti mette più paura addosso, e più sogni inconcludenti senza utopia. Invece ci fu un’epoca (era il 1976) in cui un ragazzo con un’audiocassetta registrata artigianalmente con le sue canzoni poteva andare a presentarsi al già navigato maestro delle parole in musica, e scoprire che quell’omone onesto, riflessivo, colto, e anche molto umorale, ti poteva dar credito e fiducia. Andò a finire che Alloisio scrisse per l’uomo di Pavana canzoni come Venezia e Dovevo fare del cinema, e il Maestrone ricambiò con Lager, Bisanzio, Parole.

E POI ci furono i brani scritti assieme, come Gulliver e Poveri bimbi di Milano. Storie di un’altra epoca, che ci raccontano di case aperte a Bologna dove le idee circolavano alla velocità della luce, della formidabile accelerazione creativa che mise assieme Gaber, Luporini, Guccini e Alloisio per il teatro canzone degli Ultimi viaggi di Gulliver. Poi ci fu anche il tandem con il dolce e coriaceo Claudio Lolli per Dolci poesie di guerra, ed erano giù gli anni del riflusso e della Milano da bere.

SUL PALCO scorrono le canzoni di tutti, cantate con disseccata efficacia e senza filologia, ma scorre anche un mare di vita, di aneddoti buffi e sapidi. Come quando un Guccini preso dai suoi blues s’ingegnò a suonare il banjo per l’Assemblea di Alloisio, in piena crisi malinconica: per la sospetta felicità del suo manager Renzo Fantini, che sapeva che quando il Maestrone era preso dall’umore nero poi scriveva belle canzoni. Forse, come dice una canzone di Alloisio, “la rivoluzione c’è già stata”. Almeno, quella di chi ha seguito le piste di Brassens e Bob Dylan.