Segnali incoraggianti manifestano un ritorno d’interesse dell’Italia verso il cinema underground, in particolare americano: film, registi e attori. Infatti sono passati 50 anni da quando una rassegna già allora individuata come epocale e oggi «remakata» da Germano Celant alla Fondazione Prada di Milano in «The New American Cinema. Torino 1967», fece conoscere i protagonisti di quel cinema così fortemente anti-convenzionale, nato sotto l’egida di Jonas Mekas all’inizio degli anni ’60 e riunitosi immediatamente in movimento cooperativistico per meglio sovvertire codici economici e distributivi ritenuti non più al passo con la nuova generazione di artisti e cineasti decisi a «scendere per le strade».

Più tardi, vent’anni dopo, al Festival Cinema Giovani, sempre della città sabauda, Adriano Aprà con la retrospettiva «Cinema indipendente americano degli anni 60» tornò di nuovo sul tema allargandone ancor più l’estensione temporale del fenomeno muovendosi al suo interno «con più libertà e con maggiore esattezza storica fra il 1958 e il 1972», includendovi dunque sia gli ultimi fuochi della «beat generation» sia i vagiti della «Nuova Hollywood».

Tornando, però, a quegli anni, esattamente al 1968, vi è da registrare con felice coincidenza l’ospitalità, nell’edizione forse più tormentata del festival del cinema di Venezia, peraltro gli fu assegnato il Leone d’Argento, di un documentario, commissionato dalla tv tedesca ZDF come Underground USA, conosciuto anche come Protest Wofür . Il film, realizzato dal giornalista critico fotografo e cineasta Gideon Bachmann, sodale di Fellini, amico di Pasolini, di recente scomparso, esplora dal di dentro i meccanismi e come suole indicarsi «l’epicentro» della rivoluzione artistica musicale, poetica e cinematografica che coglie New York negli anni ’60, intervistando ed anticipando, in un certo senso, le intuizioni critiche di Aprà, alcuni dei maggiori protagonisti del «New American Cinema», provenienti anche dalla letteratura e dall’arte: dai fratelli Mekas, Jonas e Adolfas ai fratelli Kuchar, George e Mike, alla comune di Gerd Stern, ed ancora Bruce Conner, Carl Linder, Maurice Amar, Jud Yalkut per arrivare ad un sostenutissimo Andy Warhol, ad una divertente Shirley Clarke, passando per un accigliato Antonioni e un assorto Allen Ginsberg.

Ora questo prezioso materiale è nato a nuova vita e presentato all’ultima edizione de Le voci dell’inchiesta di Pordenone ed in attesa di circuitare in altri festival, grazie al restauro della Cineteca del Friuli che ha in deposito tutti i film di Bachmann (il lascito ereditario è in capo a Cinemazero). Questo è stato anche l’ultimo lavoro del regista, testimoniato da Alice Rispoli del team della Cineteca del Friuli che ha lavorato intorno al restauro del film in stretta connessione con lo stesso Bachmann; ciò ha consentito al film di tornare all’edizione vista originariamente a Venezia.