François Hollande, che viene accusato (e non solo dall’opposizione) di non essere all’altezza del ruolo di presidente, è uno specialista del fisco. Eppure, è proprio sul fronte fiscale che arrivano in questi giorni i colpi più duri, al punto che c’è chi parla ormai di una rivolta rampante nel paese, dai contorni poujadisti. Dopo le rivolte dei “piccioni” e dei “pulcini” (start up e auto-imprenditori, che hanno ottenuto il ritiro dell’aumento delle imposte) e dopo la marcia indietro sulla tassazione del risparmio, adesso in prima linea c’è la Bretagna, regione di tradizione cattolica ma dove Hollande è stato eletto alla grande, terra europeista da sempre che oggi si ribella anche a Bruxelles, che ha tagliato gli aiuti all’export agricolo. I “berretti rossi” bretoni (rigorosamente made in France, offerti dalla fabbrica che ha prodotto la maglietta alla marinara indossata mesi da dal ministro del rilancio produttivo, Arnaud Montebourg) sono arrivati al punto, ieri, di sfidare il governo con un “ultimatum”: o c’è il ritiro immediato della contestata eco-tassa, di cui il governo ha promesso per ora solo una “sospensione”, oppure le azioni di violenza e distruzione di beni pubblici continueranno (se una cosa del genere fosse successa nelle banlieues, le reazioni sarebbero di tutt’altra natura). Il primo ministro, di fronte al fallimento di una prima riunione di “dialogo” con i rappresentanti del mondo del lavoro bretone, ha minacciato ieri “conseguenze giudiziarie” per i violenti. Ma il sindacato Force ouvrière ha lasciato il tavolo del negoziato. Il caso della Bretagna ha degli aspetti particolari: la regione, che ha sviluppato un’agro-industria intensiva, vive una crisi profonda. Il governo propone una riconversione, verso prodotti di qualità. Ma i bretoni chiedono una soluzione subito. A cominciare dall’annullamento dell’eco-tassa. E manifestano uniti, padroni e operai assieme.

Su questa nuova tassa è esplosa la rivolta, che ormai dalla Bretagna ha raggiunto altre regioni (fatta eccezione per l’Alsazia, che ne chiede l’applicazione da otto anni, sul modello della Germania, dove già esiste). L’eco-tassa sarebbe una tassa giusta, nel senso che colpisce i camion per spingere a una diminuzione del traffico su gomma inquinante e favorire il trasporto su rotaia o fluviale. Ma la Bretagna, regione periferica, si sente penalizzata. Una forte polemica è scoppiata sul modo di raccolta della tassa, affidata a una società privata, Ecomouv’, per di più controllata al 70% dall’italiana Autostrade: è stata la destra a scegliere questa formula, con il governo Fillon, giudicata ora scandalosa perché concede al percettore il 20% dei proventi, 230 milioni di euro l’anno per 1,2 miliardi di prelievo previsto (una cifra altissima, mentre anche in Germania, visti i costi della colletta dell’imposta, che porta 4,4 miliardi nelle casse di Berlino, la società privata Toll Collect incassa una percentuale, che pero’ è più bassa di quella prevista in Francia, si poco superiore al 13%).

L’eco-tassa rischia di essere l’imposta di troppo. Una frattura è all’opera tra le classi medie e il governo. Hollande ha promesso una “pausa fiscale”, ma le cartelle delle imposte, arrivate quest’autunno, segnalano il contrario. Il potere d’acquisto delle classi medie diminuisce e la minaccia della disoccupazione, che non cala, fa paura. “Non c’è una rivolta dei poveri – spiega il demografo Hervé Le Bras – poiché il sistema di protezione sociale funziona piuttosto bene, mentre c’è un’esasperazione della popolazione attiva, che lotta per far vivere la propria attività, diretta non soltanto contro l’imposta ma anche contro tutti gli eccessi di regolamentazione”.