Il «più netto dissenso riguardo alla richiesta di ulteriori forme di autonomia in materia di istruzione avanzata dalle Regioni Veneto, Emilia e Lombardia» è stato espresso in un documento sottoscritto dai maggiori sindacati (Flc Cgil, Cisl e Uil Scuola, Gilda e Snals) da quelli di base (Cobas, Unicobas). A questo schieramento, per molti versi inedito, si sono aggiunte decine di associazioni attive nel mondo della scuola, tra le quali «Per la scuola della Repubblica», Proteo, gli autoconvocati. E gli studenti Link, Uds e Udu. «È un’ipotesi che pregiudica la tenuta unitaria del sistema nazionale». Si chiede la mobilitazione «per fermare un disegno politico disgregatore dell’unità e della coesione sociale». Gli studenti dell’Uds bloccheranno le lezioni fino al 22 febbraio. Unicobas e Anief scioperano il 27.

“Obiettivo del progetto – si legge nel documento – è quello di regionalizzare la scuola e l’intero sistema formativo tramite una vera e propria ‘secessione’ delle Regioni più ricche, che porterà a un sistema scolastico con investimenti e qualità legati alla ricchezza del territorio. Si avranno, come conseguenza immediata, inquadramenti contrattuali del personale su base regionale; salari, forme di reclutamento e sistemi di valutazione disuguali; livelli ancor più differenziati di welfare studentesco e percorsi educativi diversificati. Di fatto viene meno il ruolo dello Stato come garante di unità nazionale, solidarietà e perequazione tra le diverse aree del Paese; ne consegue una forte diversificazione nella concreta esigibilità di diritti fondamentali”.

“La scuola – prosegue il documento – non è un semplice servizio, ma una funzione primaria garantita dallo Stato a tutti i cittadini italiani, quali che siano la regione in cui risiedono, il loro reddito, la loro identità culturale e religiosa. L’unitarietà culturale e politica del sistema di istruzione e ricerca è condizione irrinunciabile per garantire uguaglianza di opportunità alle nuove generazioni nell’accesso alla cultura, all’istruzione e alla formazione fino ai suoi più alti livelli”.

Al contrario “regionalizzare la scuola e il sistema educativo e formativo significherebbe prefigurare istituti e studenti di serie A e di serie B a seconda delle risorse del territorio; ignorare il principio delle pari opportunità culturali e sociali e sostituirlo con quello delle impari opportunità economiche; disarticolare il contratto collettivo di lavoro attraverso sperequazioni inaccettabili negli stipendi e negli orari dei lavoratori della scuola che operano nella stessa tipologia di istituzione scolastica, nelle condizioni di formazione e reclutamento dei docenti, nei sistemi di valutazione, trasformati in sistemi di controllo; subordinare l’organizzazione scolastica alle scelte politiche – prima ancora che economiche – di ogni singolo Consiglio regionale; condizionare localmente gli organi collegiali. Significa in sostanza frantumare il sistema educativo e formativo nazionale e la cultura stessa del Paese”.

Secondo i sindacati e le associazioni le conseguenze dell’applicazione delle norme previste dal governo saranno gravissime: “Verrebbero infatti meno principi supremi della Costituzione racchiusi nei valori inderogabili e non negoziabili contenuti nella prima parte della Carta costituzionale, che impegnano lo Stato ad assicurare un pari livello di formazione scolastica e di istruzione a tutti, con particolare attenzione alle aree territoriali con minori risorse disponibili e alle persone in condizioni di svantaggio economico e sociale. Questa frammentazione sarà foriera di una disgregazione culturale e sociale che il nostro Paese non potrebbe assolutamente tollerare, pena la disarticolazione di un tessuto già fragile, fin troppo segnato da storie ed esperienze non di rado contrastanti e divisive”.

«Non vogliamo i docenti su un ruolo regionale come Veneto e Lombardia – si è difeso Patrizio Bianchi, assessore emiliano alla scuola – ma fare un’allocazione del personale, programmare l’edilizia scolastica, garantire il diritto allo studio»