Politica

La rivolta del popolo “sfarinato” delle periferie

La rivolta del popolo “sfarinato” delle periferieCarlo Freccero

Dopo il 4 marzo Presentata la ricerca del Cantiere delle Idee sulle istanze sociali e il rapporto con la politica nelle periferie. Marco Revelli: "Alla domanda su chi sei, il popolo ha risposto: 'Non sai chi sono, perché non sono'. C'è una molteplicità di 'io' ma non un 'noi'". E Carlo Freccero: "E' un popolo 'sfarinato' che non riesce a organizzarsi contro il potere vero, che è quello economico".

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 20 maggio 2018

Sarebbe piaciuto a Valentino Parlato l’approccio metodologico – 50 interviste nei quartieri popolari di Milano, Roma. Firenze e Cosenza – del “Cantiere delle Idee”. Una ricerca coordinata da Carlotta Caciagli, Loris Caruso, Riccardo Chesta, Lorenzo Cini e Niccolò Bertuzzi, e realizzata a Roma con l’aiuto di Altramente-Scuola, della quale la giovanissima Caciagli spiega la genesi: “Siamo ricercatori e attivisti, impegnati su vari fronti politici in senso lato ma comunque a sinistra, e siamo andati a parlare con 50 residenti in quartieri periferici. Le interviste hanno riguardato sia l’aspetto sociale, i problemi e i disagi di ognuno, che l’aspetto politico, e cioè il loro rapporto con la ‘governance’, intesa come classe dirigente, e il rapporto con la politica, intesa come azione collettiva”.
Da ricercatori e ricercatrici, precari, che intervistano italiani precari, cosa è emerso? “Sul piano sociale un forte disagio, dovuto alla mancanza di una progettualità della governance sui servizi pubblici e sociali, sul governo del territorio, e sulle altre condizioni che possono favorire la nascita di un tessuto civile. Si sentono in balia degli eventi, e così si scagliano contro i ‘privilegiati’, che loro individuano nei politici, e negli immigrati. Non nei potentati economici”.
Sul fronte politico, è stata invece riscontrata non la presenza dell’anti-politica, quanto dell’anti-classe-politica: “C’è la richiesta, forte, che qualcuno prenda in carico le loro istanze. Che le istituzioni siano presenti e si diano da fare. Mentre, pur riconoscendo la loro condizione di sfruttati, se la prendono con i ‘ricchi’ ma non mettono in discussione il sistema economico. E nemmeno la delega: ci raccontano che, non arrivando a fine mese, non possono farsi agenti del cambiamento. Qualcuno deve farlo per loro”.
Ad analizzare i risultati e cercare una chiave di lettura, intellettuali e attivisti come Marco Revelli, Carlo Freccero, Vincenzo Vita, Massimo Torelli, Tommaso Fattori, Monica Di Sisto e Roberto Musacchio. “Gli esiti della ricerca – osserva Revelli – danno ragione ai suoi obiettivi di partenza, cioè che avessimo alle spalle un cambiamento radicale, io la chiamo ‘apocalisse’, culturale, politico e sociale, che rendeva obsolete le nostre risposte. E che non sapessimo più cosa è ‘il popolo’. Quanto alle risposte, la foto che emerge dalle interviste è quella di un’esplosione delle forme e delle culture politiche del ‘900. Alla domanda su chi sei, il popolo ha risposto: ‘Non sai chi sono, perché non sono’. C’è una molteplicità di ‘io’ ma non un ‘noi’. Solo in contrapposizione con l’altro, siano gli immigrati o la classe politica, si costituisce un effimero ‘noi’. Il governo che sembra star per nascere è, per molti versi, corrispondente alla foto. Corrisponde, ma non risponde”.
Per Carlo Freccero “abbiamo una moltitudine di popolo ‘sfarinato’, che è stato in grado di esercitare una reazione violenta contro quello che ritiene essere l’establishment. Ma già in partenza si tratta di un reazione manipolata, perché il ‘popolo sfarinato’ non riesce a organizzarsi contro il potere vero, che è quello economico”. Mentre Massimo Torelli chiama il Cantiere delle Idee ad un ulteriore lavoro di approfondimento, dedicato stavolta all’Italia dei mille municipi. “La provincia italiana sta votando sempre più in reazione al ‘centro’, perché pensa che lì ci sia la ricchezza, mentre il resto è una gigantesca periferia. Ecco così che la Toscana profonda, l’Umbria profonda, votano in reazione all’establishment dei capoluoghi”.
Tommaso Fattori tira le somme: “Questo è un lavoro sulle precondizioni, su cosa pensano e cosa vogliono le classi popolari. L’obiettivo è costruire una strumentazione adeguata a spiegare i tempi nuovi. Una ‘cassetta degli attrezzi’. Un tentativo analogo era già stato fatto, ma da parte accademica si riteneva, sbagliando, che sarebbe stata sufficiente la ‘cassetta’ vecchia. Invece è necessario affinare strumenti concettuali nuovi. Perché se prima non hai chiara la complessità dell’oggi, e analizzi le trasformazioni per poi ‘costruire’ delle idee utili, non puoi fare azione politica all’altezza, né tanto meno un progetto politico complessivo”.

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