Finalmente posso gridare con tanti: ‘E basta con la lode del dubbio e dell’incertezza e del ciò che non siamo e non vogliamo!’ Questo penso leggendo l’editoriale della rivista semestrale ‘incroci’ (numero 37, intitolato argutamente concerto) , firmato da Lino Angiuli e Daniele Maria Pegorari .

“In epoca sessantottesca e in chiave antiautoritaria, si era imposto uno slogan che

suonava grossomodo così: «non ci sono certezze», una parola d’ordine ripetuta come

un mantra nelle aule universitarie come nelle sedi di partito, nelle librerie come nei salotti

culturali. [Così anticipando] un certo ‘pensiero debole’, declinazione tardo-novecentesca di quella crisi della modernità in cui confluiscono anche forme di deresponsabilizzazione intellettuale e di qualunquismo ideale. Sarebbe invece il caso di tentare un’inversione di rotta, prendendosi la briga di frugare in cerca di qualche sia pure elementare certezza che possa fungere da lampara dentro il crepuscolo delle idee.”

Questa rivista è una di quelle riviste che sognava, dalle parti medesime in cui operano Angiuli ed i suoi complici e collaboratori, in Puglia dico, e precisamente a Turi, Gramsci scrivendo i suoi Quaderni tanto noti quanto sconosciuti.

Riviste come nuove istituzioni, non organi che fiancheggino e integrino forze e forme politiche esistenti (magari per riformarle) ma centri produttivi di una nuova cultura e un nuovo processo di aggregazione costantemente espansiva. Ponendo così, il Gramsci scienziato della storia e della politica, la rivista e non il partito al centro della nuova politica, nella misura in cui la rivista è centro di ricerca e creazione culturale e compie direttamente la funzione di direzione intellettuale e morale, mentre il partito politico è essenzialmente centro di organizzazione e propaganda (subordinatamente ad una concezione del mondo data) ed esercita funzioni decisionali e di governo.

Due parole ancora. La prima sulla cura grafica del ‘concerto’, bene impaginata con fulminanti opere di Ümit İnatçı. La seconda sul saggio di Angela Bianca Saponari sul cinema nostro contemporaneo. “Invece di spettacolarizzare il reale, rispettando la sua funzione primaria di esibizione del sogno”  questo cinema echeggia “in maniera assai sconfortante, il vuoto esistenziale entro cui siamo condannati a vivere”. Insomma è un cinema disperatamente manierista.

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