«Quando si dice che Cagliari è bella non ci si riferisce certo al suo deforme disegno urbanistico recente, ma ai quattro quartieri storici e, soprattutto, alla scenografia naturale che si è difesa da architetti, ingegneri, sindaci e assessori. L’intatto resiste. Intatto il promontorio di Sant’Elia, intatta la parte più remota degli stagni. Integro sino a oggi il sito di Calamosca dove non arriva il rumore della città e la notte si distinguono le stelle. Intatta la necropoli punica di Tuvixeddu, nonostante i tentativi di deturparla».

COSÌ GIORGIO TODDE, lo scrittore ambientalista che come pochi s’è speso in Sardegna, prima che un tumore lo stroncasse la scorsa estate, contro il partito del cemento. Con coraggio Todde ha difeso Cagliari dai boss della speculazione edilizia. Per salvare Tuvixeddu, in particolare, ha lavorato tanto insieme con il gruppo cagliaritano di Italia nostra. Oggi sarebbe contento di leggere la sentenza con la quale, pochi giorni fa, la Corte di cassazione ha definitivamente sottratto quel luogo d’incanto alla speculazione edilizia, al termine di una battaglia legale durata quindici anni.
Prima di raccontare la storia e il suo lieto fine, però, spieghiamo che cos’è Tuvixeddu. È la più grande necropoli fenicio-punica del Mediterraneo. Si estende all’interno della città di Cagliari, su tutto il colle che porta lo stesso nome. Tra il VI ed il III secolo a.C. i Cartaginesi, allora signori dell’isola, scelsero questa piccola altura per seppellirvi i loro morti. Le tombe erano raggiungibili attraverso un pozzo scavato interamente nella pietra e profondo dai due sino agli undici metri.

ALL’INTERNO DEL POZZO una piccola apertura introduceva alle camere funerarie, che erano decorate e spesso dotate di ricchi corredi. Dopo che nel 1258 i Pisani rasero al suolo la città di Santa Igia, l’antica capitale dei Sardi, massacrandone quasi tutti gli abitanti, i superstiti della strage si stanziarono alle pendici del colle, riadattando le tombe ad abitazioni. Per secoli poi Tuvixeddu è stata abbandonata a se stessa. Nella seconda metà del Novecento divenne la cava di uno stabilimento Italcementi, rimasta attiva sino agli anni Ottanta: decine di tombe distrutte, uno scempio consumatosi nell’indifferenza generale.

POI, ALL’ALBA del secolo nuovo, nell’anno 2002, arriva il costruttore Gualtiero Cualbu, che chiede al Comune di Cagliari licenza di edificabilità in alcune aree del colle di Tuvixeddu di sua proprietà. Nel progetto, palazzoni e strade accanto alle tombe cartaginesi. Possibile? Sì, perché sino al 1996 a Tuvixeddu l’area sottoposta a vincolo archeologico era di appena un ettaro. Nel 1996 arriva un decreto ministeriale che estende la zona protetta a venti ettari. Bisognerà attendere il Piano paesaggistico regionale (Ppr) approvato nel 2006 dalla giunta di Renato Soru perché tutto il colle sia messo sotto tutela.
È proprio Soru che blocca Cualbu. Il costruttore aveva firmato con l’amministrazione comunale di Cagliari un accordo di programma. Forte delle norme di tutela contenute nel Ppr appena approvate, nel 2007 l’allora presidente della giunta regionale dichiara nullo quell’accordo. Cualbu va per vie legali e il Tribunale di Cagliari gli dà torto: niente cemento nella necropoli protetta dal Ppr.

I GIUDICI però stabiliscono anche che, a titolo di indennizzo, all’imprenditore edile la Regione Sardegna deve dare, sulla base di un lodo arbitrale intervenuto tra le parti firmatarie dell’accordo di programma, 78,8 milioni di euro. Soru, che non ha alcuna intenzione di dare a Cualbu tutto quel denaro, ricorre in appello. Nel 2018 i giudici di secondo grado confermano la sentenza del Tribunale (finché c’è il Piano paesaggistico a Tuvixeddu non si può costruire) e riducono di molto, a un solo milione e 200mila euro, l’indennizzo che a Cualbu spetta, secondo una valutazione che conferma quella del Tribunale, da parte della Regione Sardegna.
Questa volta è il costruttore che fa ricorso in Cassazione. Ma la mossa si rivela sbagliata. Con un dispositivo emesso lo scorso 5 febbraio la suprema corte riforma, senza rinvio, a sfavore di Cualbu la sentenza della Corte d’appello. Come per i giudici di primo e di secondo grado, anche a parere dei magistrati di piazza Cavour la decisione presa a suo tempo dalla giunta Soru di fermare le ruspe a Tuvixeddu è legittima: le disposizioni del Piano paesaggistico regionale sono vincolanti.
Non solo: la Cassazione dichiara non esigibili gli indennizzi percepiti in precedenza da Cualbu. Secondo la suprema corte, infatti, il collegio arbitrale, al cui lodo le parti firmatarie dell’accordo di programma del 2004 che dava il via alle ruspe dovettero sottoporsi per contratto, non era competente a giudicare sulla controversia scatenata dalla decisione della giunta Soru di imporre sull’area punica il vincolo per «notevole interesse pubblico».

DATO CHE LA CONTROVERSIA – spiega la Cassazione – era solo secondariamente di intesse privato, mentre a prevalere era l’interesse pubblico, il giudice competente era quello amministrativo, il Tar, e non gli arbitri che disposero, con un lodo, l’ingente risarcimento al costruttore. Da qui l’annullamento dello stesso lodo e, quindi, degli indennizzi. Per il costruttore, tenuto ora a restituire la montagna di soldi entrati nelle casse del suo gruppo per effetto delle due sentenze precedenti, un colpo durissimo. Per Tuvixeddu la salvezza definitiva.