La buona notizia di questo autunno è il ritorno della castagna, dopo una crisi produttiva durata più di un decennio. Gli squilibri climatici di questi anni e l’azione di un parassita (la vespa cinese) hanno costituito un connubio micidiale per i castagneti italiani, facendo crollare dell’80% la produzione di castagne.

Nel 2014, a causa dell’attività distruttiva del parassita, si è toccato il minimo produttivo con 18 milioni di chili. Il controllo del parassita attraverso la lotta biologica ha consentito quest’anno di superare i 30 milioni di chili, riportando la produzione nostrana a livelli accettabili. Il frutto autunnale per eccellenza può tornare ad essere il protagonista delle 500 sagre autunnali che lo celebrano in ogni angolo d’Italia.

NELLE ZONE APPENNINICHE e prealpine è la sagra della castagna la più diffusa manifestazione italiana. Sagre che si rinnovano da decenni e che richiamano realtà perdute, ma che si ha voglia di recuperare, almeno per un giorno. Si tratta di territori che hanno fatto la storia dell’Italia e hanno segnato la sua economia e la sua cultura. Nella fascia tra i 500 e i 1000 metri di altitudine è il castagno la pianta di riferimento. Occupa una superficie di 750 mila ettari, pari al 7,5% della superficie forestale italiana e rappresenta, dopo l’ulivo, l’albero da frutto con la maggiore estensione.

L’80% delle coltivazioni è costituito da piante che vengono utilizzate per produrre legname, un legno resistente e compatto che viene impiegato nell’edilizia strutturale e nell’arredo di interni ed esterni. I castagneti da frutto incidono per il 20% e le regioni in cui si concentra la produzione di castagne sono Campania, Piemonte, Calabria, Toscana. Per secoli il castagno ha svolto un ruolo fondamentale nelle zone montane, dove si concentrava una parte consistente della popolazione italiana.

SI PARLA DI «CIVILTA’ DEL CASTAGNO» per rappresentare l’importanza che esso ha avuto sia da un punto di vista alimentare (castagne, farina) che per i molteplici impieghi del suo legname. Nelle aree montane, dove il frumento non poteva essere coltivato, le castagne hanno rappresentato la principale fonte alimentare fino alla fine degli anni ’50: «L’albero del pane» o il «pane dei poveri», di cui non si poteva fare a meno.

Si mangiavano bollite, arrostite e si utilizzava la loro farina. Per conservarle tutto l’anno venivano essiccate in appositi essiccatoi che sono ancora in bella mostra nei musei del castagno. All’inizio del 1900 si producevano in Italia 800 milioni di chili di castagne, per scendere a 120 milioni all’inizio degli anni ’60. Il progressivo abbandono delle zone interne da parte della popolazione ha significato anche il declino della coltivazione del castagno e un drastico calo produttivo. Negli anni di crisi, l’Italia, che era stata da sempre il principale produttore mondiale, ha dovuto importarne annualmente circa 30 milioni di chili da Spagna, Portogallo, Albania, Grecia. Ma nei confronti della castagna c’è un debito di riconoscenza che non è mai venuto meno ed essa viene celebrata nelle centinaia di sagre che si rinnovano da decenni nei borghi montani. Perché la castagna è risorsa economica, tradizione, tutela del territorio, paesaggio, gastronomia.

Si riscoprono le qualità benefiche del frutto, ricco di minerali, vitamine, antiossidanti e con un elevato valore energetico. La castagna viene rivalutata anche perché la sua farina è priva di glutine ed è indicata per le persone affette da celiachia. La gastronomia moderna ne fa un uso sempre più ampio per la preparazione di piatti di ogni tipo: da cibo povero a ricercato ingrediente per ricette dolci e salate. L’elenco di piatti a base di castagne è lungo e ricco di piacevoli sorprese (il risotto con le castagne, ad esempio, è un perfetto piatto autunnale). La coltivazione del castagno, tuttavia, deve fare i conti non solo con i cambiamenti climatici e i parassiti di vario tipo, ma con una realtà produttiva estremamente frammentata.

NELLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI CASI si tratta di produttori di piccole dimensioni (1-2 ettari) che hanno difficoltà a gestire il loro piccolo patrimonio di piante. Le rese sono in genere basse (3-4 quintali per ettaro) e solo nei castagneti coltivati in modo razionale si può arrivare a 40-50 quintali per ettaro. Nelle zone in cui le produzioni sono scarse, il fenomeno dell’abbandono dei castagneti è sempre più diffuso. Ma non si può prescindere dal castagno se si vogliono recuperare le aree interne del nostro paese. Sono necessari almeno 20 anni per un albero di castagno, una volta impiantato, per arrivare a produrre i suoi frutti. Molti castagneti sono rappresentati da vecchi alberi, anche secolari, che rappresentano un importante patrimonio di biodiversità che andrebbe salvaguardato.
Il castagno dei cento cavalli, all’interno del Parco dell’Etna, è un albero millenario che nel 2008 l’Unesco ha proclamato messaggero di pace perché porta con sé il messaggio genetico della biodiversità. Sono un centinaio le varietà di piante che portano alla produzione di castagne e marroni, che vanno considerati come due distinte sottospecie, differenziandosi per forma, dimensione e colore.

LE CASTAGNE SONO IL PRODOTTO DELLE originarie piante selvatiche, i marroni sono il risultato dell’intervento dell’uomo che, attraverso potature, innesti e incroci, ha creato nuove cultivar. Le nostre produzioni sono di elevata qualità, consentendo di ottenere il riconoscimento di 5 Dop e 9 Igp.

SI TRATTA DI ECCELLENZE ITALIANE CHE HANNO caratteristiche organolettiche uniche e straordinarie: il marrone del Mugello (Toscana), la castagna di Cuneo, la castagna del Monte Amiata (Toscana), la castagna di Montella (appennino avellinese), la castagna di Vallerano (Viterbo), Il marrone della Va di Susa (Piemonte), il marrone di Caprese Michelangelo (Arezzo), il marrone di Castel del Rio (Bologna), il marrone di Combai (Treviso), il marrone di San Zeno (sponda veronese del lago di Garda), il marrone di Monfenera (Treviso), il marrone di Roccadaspide (nel Cilento), la castagna di Serino (Irpinia), la farina Dop delle castagne della Garfagnana (Massa Carrara).

Castagne e marroni che nelle castagnate di questo autunno vengono proposte senza più l’incubo della vespa cinese, con la convinzione che per le sagre che si svolgeranno negli anni a venire nelle nostre comunità montane non si dovrà far ricorso alle castagne importate dalla Cina.