La tegola, che per qualcuno è in realtà una mano santa, piove proprio nel giorno in cui i falchi si sgolano per garantire che sfiducia e passaggio all’opposizione non sono all’ordine del giorno. E’ una bugia, sbandierata per precostituirsi un alibi, ma i “lealisti” la mantengono anche quando gli capita fra le mani un casus belli da leccarsi i baffi. L’elezione a maggioranza secca di Rosy Bindi alla presidenza dell’Antimafia è un ceffone sonoro, al quale l’intero Pdl reagisce ruggendo. I commissari annunciano la defezione permanente. I capigruppo Brunetta e Schifani chiedono l’impossibile: le dimissioni di donna Rosy (che respinge il cortese invito più veloce della luce).
Però nessuno la mette giù davvero dura. Nessuno suggerisce l’uscita da tutte le commissioni bicamerali. Nessuno neppure nomina l’eventualità di una crisi. «Non è questo il momento della sfiducia», ripete Daniele Capezzone. Però… «Però il clima è quello che è». “Però ogni giorno ce n’è una nuova: le tasse, la legge di stabilità, l’Antimafia, la decadenza di Berlusconi». Per una volta non c’è bisogno di premere sull’acceleratore. L’incidente basta e avanza di per sé, e porta acqua al mulino dei falchi. Quando si svolgerà il prossimo ufficio di presidenza (forse giovedì o venerdì, forse la settimana prossima) chiederanno l’azzeramento delle cariche. Già disponevano della maggioranza, dopo il dito nell’occhio dell’Antimafia andranno sul velluto.
Passare all’opposizione resta l’orizzonte strategico, e in tempi brevi. Ma bisogna evitare a tutti i costi di passare per scissionisti, ed ecco che l’intero stormo rapace si copre di miele gli artigli, con Fitto che assicura di non voler provocare strappi e giura di non avere in materia di legge di stabilità «nessuna posizione preconcetta». Per non apparire come quelli che hanno già deciso di rompere, i duri ce la mettono tutta, anche a costo di perdere l’occasione Antimafia. Il momento buono, tanto, non si farà attendere. Saranno le tasse sulla casa, un’Imu travestita o «del tutto inaccettabile». Oppure sarà quel voto sulla decadenza di Berlusconi che sarà pure ampiamente previsto e prevedibile, ma resta deflagrante. «Chi pensa che sia un lutto già elaborato sbaglia di grosso – conferma Capezzone – perché quello è un vulnus alla democrazia che non si rimarginerà e resterà nella storia».
Una ferita tanto più profonda perché Berlusconi è convinto di aver ricevuto, all’atto della formazione del governo, garanzie tradite. Da mesi minaccia di rivelare, prima o poi, cosa si erano detti allora lui e Giorgio Napolitano. Il Colle, ieri, ha smentito con sdegno ogni allusione in materia. Ma si sa come si parla di queste cose. Non è che si spiattellano. E’ tutto un gioco di allusioni e mezze parole in cui capire male è facile, e ancora più facile è farsi schermo accusando l’interlocutore di aver capito male.
Così, nel congresso infinito che in un modo o nell’altro porterà alla spaccatura del Pdl, la giornata di ieri registra un punto importante segnato dai falchi. I rivali lo accusano tutto. Dopo lo sgambetto firmato Bindi, le colombe balbettano s’imbarazzano e si confondono, se la prendono col Pd che avrebbe, sostiene Giovanardi, «contraddetto lo spirito delle larghe intese» (e il solo fatto che lo dica senza ridere dimostra che è un politico di lungo corso). Il peggio è che alla battaglia campale ci arriveranno con un conducator che più ambiguo non si può. Angelino, cervello fino, a togliere gli ormeggi con una ciurma forte di pochissimi voti ed esiguo consenso popolare non ci pensa affatto. «Io non ho mai pronunciato la parola scissione!», ha ricordato ieri, e persino sulla legge di stabilità inizia a cambiare registro: «Non è mica il Vangelo! La si può modificare». Ma anche per lui il momento della verità si avvicina, perché su un punto il suo ex padrino di Arcore non è disposto a fargli sconti: su come reagirà al voto sulla decadenza. «Lo aspetto lì», ripete, e senza l’ombra di un sorriso.