Il 22 ottobre, quasi un terzo degli elettori italiani sarà chiamato ad esprimersi in un referendum dal tema ammiccante, promosso dai leghisti. I residenti di Lombardia e Veneto sono invitati a dare il loro parere su una più forte «autonomia», sottinteso l’arrivo di maggiori risorse.

In continuità con il pensiero politico della Lega di Bossi si ripropone l’egoismo sociale come ricetta per affrontare questo passaggio d’epoca. Se si dovesse affermare questo disegno politico, le vittime non sarebbero i soli migranti. La rottura della solidarietà nazionale insita in quei referendum colpirebbe le popolazioni del sud dove oggi, paradossalmente, Salvini cerca di accrescere il consenso agitando il tema della sicurezza connesso alle migrazioni.

Decenni di politiche volte a contenere la spesa pubblica, i tagli a pensioni e ai diritti hanno creato un vero a proprio humus per questo genere di pensiero. Per entrambi i governatori l’importante non è raggiungere u risultato istituzionalmente vincolante. Con il referendum la destra mantiene l’iniziativa e prosegue nella sua opera di “educazione”.

Amministratori di sinistra appoggiano questo referendum, convinti di poter così affrontare i problemi di bilancio che attanagliano i comuni . Il coro delle lamentele è bipartisan. Ma le ragioni delle difficoltà degli enti locali stanno altrove non nel gettito complessivo. Larga parte dei tagli di cui ci si lamenta sono stati compensati con un aumento del gettito finanziario diretto. Soprattutto per le regioni. L’addizionale Irpef regionale nel 2010 ammontava a 7.155 milioni. Nel 2016 a 16.640. Più che raddoppiata.

Ma addirittura più che triplicata in Veneto dove è passata da 530 a 1.702 e quasi triplicata in Lombardia dove è passata da 1.602 milioni a 4.032. In altre regioni, ad esempio Calabria, Campania, Lazio non è neppure raddoppiata.

Piuttosto si nota un divario tra regioni ricche e regioni povere. Anche l’entrata complessiva delle regioni a statuto ordinario conferma che non siamo di fronte ad un taglio che rende necessari nuovi trasferimenti. Nel 2010 queste regioni hanno avuto entrate per 115 miliardi. Nel 2014, ultimo anno in cui l’Istat pubblica il dato, le entrate ammontavano a 119 miliardi.

Le forze politiche di sinistra, attraversate da qualche divisione nel merito, si stanno orientando verso l’astensione per i referendum del 22 ottobre. L’inefficacia legale del referendum è la principale argomentazione che li spinge a questa posizione. Da Rifondazione al Pd tutti argomentano su questo punto.

Sfugge in questo modo il cuore del problema.

Il tema proposto con il referendum è una visione di società e una proposta di riforma dello stato conseguente. L’obiettivo è far crescere il consenso attorno a questa visione da capitalizzare nella prossima tornata elettorale.

E’ una proposta politica precisa che invita un pezzo del nord a richiedere più risorse per se stesso perché la ricchezza non va più condivisa in un frangente dove i sofferenti stanno crescendo anche lì. Il referendum è uno strumento perfetto per amplificare questa visione, per porla al centro dello scenario politico. Delegittimarlo, invocandone l’inutilità legale lascia la piena egemonia di pensiero alla destra.

Sapere se il denaro a disposizione degli enti locali sia sufficiente a rispondere alle esigenze dei cittadini sarebbe stata la prima risposta da dare. Sapere se i 50 miliardi che amministrano i comuni e la regione in Lombardia sia una cifra congrua è un esercizio culturale di governo. Sapere se questi miliardi, al netto degli sprechi e delle ruberie, siano sufficienti è un atto dovuto nei confronti dei cittadini che si amministra.

Sapere se i 1.600 comuni lombardi, le 2.800 fondazioni che governano buona parte della spesa sociale e culturale nel territorio lombardo, le quasi 400 società che fanno capo alla regione, le centinaia di partecipate siano nel loro insieme un modello di governo efficace.

Qui sta l’altro nodo su cui a sinistra si tace. Il sistema del potere locale ormai va molto oltre gli enti previsti dalla Costituzione. Comunità montane e Provincie sono già sottratte al voto popolare e su questo si è prestata qualche attenzione.

Ma che dire delle fondazioni, 2.800 che in Lombardia accedono in gran parte ai fondi pubblici e che amministrano di tutto. Dalla cultura, alla vecchiaia, dalla disabilità all’inserimento dei migranti. Quante di queste fondazioni sono oggetto di controllo, i loro bilanci analizzati?

A chi propone l’egoismo sociale come ricetta andrebbe contrapposta una proposta basata su una conoscenza della realtà istituzionale del territorio. E una proposta che definisca anche un nuovo assetto dello stato.