La diplomazia secondo Donald Trump continua a passare per i messaggi su Twitter. Ed è in 140 caratteri che, sull’onda delle tensioni nella penisola coreana dopo il sesto test atomico condotto dal regime di Pyongyang, il tycoon ha annunciato di voler consentire a Corea del Sud e Giappone l’acquisto di ulteriore equipaggiamento militare statunitense, altamente sofisticato.

Il cinguettio presidenziale ha confermato quanto fatto sapere già nella notte di lunedì, quando la Casa Bianca spiegava di aver garantito al presidente sudcoreano Moon Jae-in l’opportunità di acquistare armi per «molti miliardi di dollari».

Una notizia capace di mettere in fibrillazione l’industria bellica a stelle e strisce, tanto più che da Seul fanno sapere di aver trovato un’intesa con Washington per aumentare le capacità di carico dei missili balistici in dotazione ai sudcoreani, così da poter rispondere con più efficienza qualora la crisi dovesse precipitare in un conflitto aperto.

Secondo indiscrezioni riportate dall’Asia Business Daily, basate però su fonti anonime, i nordcoreani potrebbero condurre presto un nuovo test balistico intercontinentale. Ci sarebbero state manovre per spostare un missile verso la costa occidentale. Mentre Kim Jong-Un promette nuovi «pacchi regalo» per ritorsione contro ulteriori sanzioni.

L’accordo bilaterale con gli Stati Uniti del 1979, rivisto nel 2012, consente ai sudcoreani di sviluppare missili con una gittata di 800 chilometri e un carico esplosivo di 500 chili. Per il momento Seul è intenzionata a rivedere soltanto la potenza, portandola fino a due tonnellate, così da poter colpire anche le strutture militari sotterranee del regime. La gittata, ammette un funzionario della Casa Blu citato dallo Joong Ang Ilbo, è sufficiente a colpire ovunque al Nord. Aumentarla incrinerebbe invece i rapporti con giapponesi e cinesi.

Stando a quando riferisce il Korea Herald, i militari sudcoreani starebbero lavorando alla nascita di un’unita speciale per colpire direttamente la leadership del Nord, incluso Kim. Come riferito dal ministro della Difesa Song Young-Moon ai parlamentari c’è anche una data: il 1 dicembre. Per allora la struttura speciale dovrebbe poter essere operativa.

Moon Jae-In sembra aver dismesso i panni della colomba. Un atteggiamento emerso dopo una serie di colloqui telefonici con Trump, Vladimir Putin, Shinzo Abe e Angela Merkel. Rientra in questa nuova prospettiva l’esortazione a tagliare le forniture di carburante al regime per ritorsione.

Il momento, è stato costretto ad ammettere, non è certo il migliore per tentare la via del dialogo con Kim Jong-Un e i suoi generali. Questo però non vuol dire respingere qualsiasi forma di contatto, ha chiarito con messaggio all’agenzia russa Tass. «La situazione è frustrante e difficile, ma il governo continua a perseguire una politica che, con pazienza e nel lungo periodo, porti pace e prosperità nella penisola» – ha aggiunto il presidente prima di partecipare all’Eastern Economic Forum di Vladivostock – «e non vogliamo far cadere il regime o cercare una riunificazione inglobando il Nord. Vogliamo costruire una sorta di comunità economica che possa contribuire allo sviluppo dell’estremo oriente russo».

Anche nelle sale operative delle grandi banche d’investimento la prospettiva di un conflitto aperto è presa con le pinze. In un report sui rischi nell’area del Pacifico, gli analisti di Ubs Wealth Management giudicano bassa l’ipotesi di una guerra e lo fanno per almeno due ragioni. La prima è l’effetto deterrente che sia gli Usa sia i nordcoreani possono mettere sul tavolo, il secondo è il ruolo di mediazione della Cina. Su queste basi ritengono sia più probabile il secondo dei tre scenari da loro presi in considerazione ossia un’ulteriore esasperazione della situazione, per via dell’inasprimento delle sanzioni contro il regime, destinata però a scemare abbastanza presto. Perdono terreno: la prospettiva di un mantenimento dello status quo o di un conflitto militare lampo.