Almeno sette persone sono state uccise in due attacchi separati dal gruppo jihadista di al-Shabaab in Somalia nelle ultime 24 ore. Il primo attacco è avvenuto sabato notte nella città di Wanlaweyn, 90 chilometri a ovest di Mogadiscio, quando un ordigno esplosivo improvvisato è esploso vicino alla casa di un ufficiale militare. Un secondo ordigno è detonato a distanza di pochi minuti – tecnica utilizzata dal terrorismo jihadista – e ha colpito le prime persone che erano accorse per i soccorsi. Il bilancio, ancora provvisorio, è di 5 persone uccise più altre 20 ferite gravemente, come ha confermato ieri al-Jazeera.

Separatamente, un’autobomba suicida è esplosa in un posto di blocco fuori da una base militare nella città di Ba’adweyne, 170 chilometri a sud-est della città di Galkayo, nella Somalia centrale, domenica mattina colpendo tre militari all’ingresso e ferendone altri 5, anche se «l’attacco suicida non è riuscito a penetrare all’interno» come ha dichiarato alla Reuters il comandante della base, il maggiore Abdullahi Ahmed.

Entrambi gli attacchi sono stati rivendicati dalla formazione jihadista degli al-Shabaab, affiliata ad al-Qaeda, come «risposta alle operazioni militari dell’esercito somalo nella regione meridionale del basso Shabelle», che nelle scorse settimane ha portato all’uccisione di 60 terroristi.

Secondo la stampa locale, questa lunga serie di attentati dinamitardi – con altri attacchi nelle scorse settimane contro civili, operatori sanitari e una scuola della fondazione turca Maarif – sarebbe il tentativo di impedire una «stabilizzazione» di tutta l’area e rientrerebbe anche nello scontro tra Qatar e Turchia, alleate del governo di Mogadiscio, contrapposte all’Arabia Saudita e agli Stati del Golfo per il controllo dell’area.

In questo quadro rientrano i recenti colloqui di pace tra il presidente della repubblica Mohamed Abdullahi “Farmajo” e il presidente del Somaliland, Musa Bihi. Un primo passo di riconciliazione tra il governo centrale e tutte quelle regioni che dopo il 1991 – alla caduta del regime di Mohammed Siad Barre – dichiararono l’indipendenza dalla Somalia autoproclamandosi autonome: Somaliland, Puntland, Jubaland, Hirshabelle e Galmudug.

I colloqui di «riconciliazione nazionale» si inseriscono nel tentativo da parte del governo di Mogadiscio di risolvere lo stallo relativo all’organizzazione delle elezioni, ancora lontane, per un miglior coordinamento anche in termini di sicurezza con la missione Onu della Amison, che dovrebbe terminare a fine 2020, contro al-Shabaab.

L’ennesimo tentativo di cercare di migliorare una situazione che il capo delle Nazioni unite per gli affari umanitari in Somalia (Ocha), Justin Brady, ha considerato nell’ultimo rapporto «esplosiva e catastrofica». «La Somalia è messa a dura prova da una triplica minaccia che comprende l’epidemia di coronavirus (pochissime le morti registrate, essenzialmente a causa della carenza di strutture sanitarie), la carestia (causata da inondazioni e invasioni locuste) e il terrorismo di matrice jihadista – ha dichiarato Brady – difficoltà che hanno lasciato diverse regioni senza un facile accesso agli aiuti di base, con il rischio di sopravvivenza per almeno un milione di profughi».