Gli Stati uniti hanno vacillato. La notizia degli arresti domiciliari, imposti al presidente egiziano Mohammed Morsi, insieme a tutta la classe dirigente dei Fratelli musulmani, e il suo tentativo estremo di difendere la legittimità costituzionale del suo ruolo sono state accolte con una certa preoccupazione da Washington.

Era il 28 gennaio 2011 quando il presidente Barack Obama, il segretario di Stato Hilary Clinton e i dirigenti militari americani in contatto continuo con il maresciallo Hussein Tantawi avevano scaricato l’ormai ingombrante rais Hosni Mubarak e dato il via libera al colpo di stato militare che ha portato ad un affrettato processo di transizione democratica che ha disattivato il movimento rivoluzionario. Quella notte la polizia, controllata dal ministero dell’Interno e dal Partito nazionale democratico, spariva dalle strade egiziane, e i carri armati facevano per la prima volta il loro ingresso dopo il 1952 alle porte di tutti gli obiettivi sensibili, i luoghi pubblici e le principali piazze del paese.

Il colpo di stato che ha destituito il presidente Morsi il 3 luglio scorso è iniziato proprio con l’avvicinamento dei carri armati al palazzo della televisione di Stato Maspero a due passi da piazza Tahrir. Qualcosa questa volta però non è andata come le autorità statunitensi si aspettavano. Obama ha atteso ore prima di commentare. E in una lunga nota, senza mai parlare di colpo di stato, ha chiesto alle Forze armate di restituire piena autorità ad un governo civile democraticamente eletto, attraverso un processo inclusivo e trasparente e ristabilire quanto prima condizioni di stabilità democratica, senza ricorrere alla violenza, evitando di perseverare in arresti «arbitrari». Gli Stati uniti, ha sottolineato Obama, sono «profondamente preoccupati» per la decisione delle Forze armate egiziane di rimuovere il presidente Morsi e sospendere la Costituzione. Detto questo, ha aggiunto che «è necessario che la transizione sia rapida e che in nessun modo il rivolgimento popolare di queste ore si trasformi in un vero e proprio colpo di stato».

Al riguardo la legge federale parla chiaro: nessun aiuto economico potrà essere destinato a paesi il cui governo democraticamente eletto venisse deposto da un golpe militare. A rischio ci sono 1,5 miliardi di dollari in aiuti militari e economici.

Ma il colpo di stato viene raccontato in molte capitali europee non univocamente come un golpe, ma in molti casi come una naturale conseguenza delle manifestazioni di piazza. Anche il Segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen non ha voluto parlare di colpo di stato: «non è necessario mettere etichette adesso» – ha detto – auspicando la nascita di «un governo civile democratico ed inclusivo». Rasmussen si è detto «profondamente preoccupato» per la situazione nel paese: «la cosa più importante è trovare soluzioni che possano portare ad un rafforzamento della democrazia». Il Segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-Moon invece ha criticato il colpo di mano dell’esercito. «L’intervento dei militari negli affari di uno stato è preoccupante», ha detto. Dal canto suo, il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino ha parlato di «una situazione in assoluto movimento, la prudenza è la linea migliore che possiamo seguire senza precipitarci in giudizi», ha commentato senza parlare mai di golpe.

Non si tratta di un golpe quindi? Ieri, ciò che resta del parlamento, la Shura, o Camera alta, è stata sciolta dai militari dopo la deposizione di Mohammed Morsi. È stata poi sospesa la Costituzione che sarà in vigore fino alla redazione della nuova Carta fondamentale.

Da ieri poi, l’Egitto ha un nuovo presidente ad interim: il capo della Corte costituzionale, il giudice Adly Mansour. «I Fratelli musulmani sono parte della nazione» ha detto Mansour nel suo giuramento. Poco prima Morsi veniva trasferito in stato di arresto al ministero della Difesa.
I 15 morti in tutto il paese negli scontri tra sostenitori e oppositori dell’ex presidente sembrano poca cosa. Ma la leadership al completo, incluso il murshid, la Guida suprema, Mohammmed Badie sono agli arresti. In prigione anche il suo predecessore Mahdi Akef. L’accusa nei loro confronti è di incitamento alla violenza.

Oggi però lo scontro potrebbe aggravarsi in occasione della manifestazione indetta dagli islamisti per opporsi al golpe. Per il governo, la stampa locale, fa i nomi dell’ex governatore della Banca centrale, Farouq El-Oqda. Mentre il Nobel El-Baradei avrebbe declinato l’offerta di guidare l’esecutivo. Gli altri nomi per la guida del governo sono il medico, Mohamed Ghoneim, e il banchiere Adel El-Labban. Alla borsa egiziana infine piace il colpo di stato. Il listino ha fatto segnare un +7,3%. Così è se vi pare.