LUCIA è una giovane donna come tante oggi: una figlia, una relazione di cui non è troppo contenta, difatti la vediamo la prima volta mentre litiga col compagno, anzi no, si stanno proprio lasciando. Lei è stanca, con la fatica di surfare sulla superficie della vita tra problemi economici, desideri inespressi, e l’insofferenza per quella piccola città dove vive e che ama nonostante tutto.
Lucia è una tipa di quelle che si dice hanno un «caratteraccio», pure per questo lavora poco, la guardano con diffidenza perché quando chiamano lei a fare qualche rilievo (è una geometra) non cede al compromesso, diciamo che alle sanatorie preferisce il rispetto della vita e del territorio, e questa in un Paese come il nostro che va avanti a colpi di condoni e lacrime per le vittime non è una dote ma un difetto. Così quando un vecchio amico le propone un controllo «facile» su un terreno destinato a una «grande opera», anche se nota molte incongruenze si impone di tacere.

MA ACCADE qualcosa di imprevisto: mentre sta lavorando le appare la Madonna, che vede solo lei, dicendole di fermare quei progetti per erigere una chiesa. Non è una Madonna alla Bernadette ma una giovane donna tosta, intransigente, che non ammette nessun compromesso, che vuole credere in un mondo diverso e non arrendersi al rancore e al profitto del nostro tempo. Troppa Grazia – in sala il 22 novembre dopo l’anteprima alla Quinzaine di Cannes – è il nuovo film di Gianni Zanasi (Non pensarci, La felicità è un sistema complesso), commedia acuta e delicata sui nostri tempi, sul sentimento che li pervade, tutto suggerito con leggerezza, giocando su registri inattesi, su una energia irriverente e sulla performance di meravigliosi attori – Alba Rohrwacher, Elio Germano, Hadas Yaron – che Zanasi ama definire «co-autori».

Come hai avuto l’idea della Madonna?
È stata casuale, non sono partito da uno schema a priori- il film sociologico sulle donne e la spiritualità e quant’altro. A un certo punto me la sono immaginata apparire al personaggio di Lucia, la sua presenza mi faceva ridere e per me la risata è sempre speciale, funziona come una scarica elettrica sui luoghi comuni. Così la Madonna che vediamo è forte, intransigente, è quasi come un bambino, non disposta a nessun compromesso. Il suo arrivo mette in discussione il personaggio di Lucia – che poi è quanto la Madonna vuole – obbligandola a non sfuggire a sé stessa, a ritrovare la capacità di credere in qualcosa che non c’è, a immaginare un futuro. Mi piaceva poi che il senso del magico si mescolasse al reale. Guardando la realtà mi sono reso conto che c’è sempre qualcosa che non torna, volevo che questo «sfasamento» risultasse evidente; per me la magia funziona quando la sento vera.

Però anche Lucia è una persona che poco si adatta alle regole del nostro tempo, anzi sembra essere un po’ un outsider…
In un certo senso lo è pure se poi, come tutti noi, è costretta a fare dei compromessi, ha molte difficoltà economiche, ha bisogno di lavoro, insomma quelle situazioni che conosciamo bene. La Madonna la porta a riconsiderare gli aspetti importanti della vita, costringendola a una serie di confronti che Lucia evita perché sono avventurosi ma possono risultare molto pesanti. Anche questa è una reazione in cui possiamo specchiarci: se si è in una situazione complicata guardarsi dentro, dare spiegazioni, essere sinceri con se stessi, e con il resto del mondo, diventa un lusso che non ci si può permettere. Ecco, diciamo che la Madonna, obbliga Lucia a concedersi questo lusso che invece è irrinunciabile.

Dicevi che per te la risata è rivelatoria? In che senso?
È anche liberatoria … Al cinema trovo che aiuti a mettere in scena i moti interiori sia personali che collettivi. Grazie alla risata diventa possibile non perdere la verità profonda delle cose, e al tempo stesso coglierne il senso sbagliato, la menzogna. La risata è rapida, bruciante, leggera, ci mette davanti alle domande che rimangono sospese e a quelle che evitiamo.

La cifra che prediligi nel tuo cinema è infatti la commedia.
Perché ha una forma che permette di affrancare il racconto dalle sovrastrutture ideologiche e dai preconcetti della storia. In una commedia si può mettere in primo piano la libertà dei personaggi permettendogli di vivere le proprie contraddizioni. Il film diventa più vicino alla vita, si ride, ci si commuove, si ha paura, si ride di nuovo … Quando penso a questa leggerezza mi vengono in mente le Lezioni americane di Italo Calvino in cui la libertà che viene infusa nel racconto lo rende appunto più efficace, permettendo di restituire una verità che lo sottrae dagli schemi logici delle abitudini.

L’ostinazione della Madonna appare come un gesto di resistenza che indica l’importanza di credere nei cambiamenti. In questo momento è molto importante …
Credere nel futuro è irrinunciabile, riguarda la capacità di immaginare qualcosa che va oltre il presente per non rimanerci spiaccicati dentro come un insetto sul parabrezza. C’è una dimensione politica in questo, specie oggi visto che rispetto a decenni fa è andata perduta la spinta ai movimenti collettivi, l’idea di una trasformazione che possa coinvolgere tutta la società. Immaginare il futuro è un po’ come sognare, mi fa pensare alle copertine dei dischi che ascoltavamo da ragazzi, che prima ancora di aprirli ci facevano fantasticare … Viviamo in un mondo che si definisce informato, in cui domina l’illusione di sapere tutto di tutti. Questo diminuisce la capacità di sognare, di sperare, di immaginare una realtà che si vorrebbe rispetto a quella in cui si è. Il rischio maggiore è che nell’illusione dell’informazione vada dispersa la dimensione dell’esperienza, come già accade, dimenticando che non sono la stessa cosa.

«Troppa grazia» è anche un film ambientalista, si parla di sconvolgimento del territorio, di perdita della memoria dei luoghi, di grandi opere a impatto ambientale catastrofico…
Secondo gli scienziati il decadimento del nostro pianeta sarà irreversibile tra pochi anni se non si cominciano subito a fare interventi più decisi per un cambiamento generale. Non sembra però che ce ne preoccupiamo granché. Mi viene in mente che fino a poco tempo fa si continuava a vivere nella paura della guerra fredda, si pensava che potesse scoppiare un nuovo conflitto mondiale, c’era l’incubo della bomba atomica. Ecco forse dovremmo pensare ai disastri climatici sulla Terra allo stesso modo.