Le considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia sono spesso utili per esplicitare il senso e i limiti delle politiche economiche in corso. Non fanno eccezione quelle lette ieri a palazzo Koch in via Nazionale dal governatore Ignazio Visco. Tre sono state le direttrici del discorso: il debito comune europeo; il programma neo-liberale delle «politiche attive del lavoro»; il ruolo regolatore dello Stato, di cui va ridotto l’indebitamento, mentre alla guida resta il mercato.

In questo quadro vanno inserite le indicazioni di Visco per aggirare le obiezioni dei paesi «frugali» alla creazione di un bilancio europeo. Il governatore ha parlato di una «stabile emissione di debito» europeo garantita da «fonti di entrata autonome», per creare una «capacità di bilancio comune» con una revisione delle regole di bilancio. Si tratterebbe «di un debito distinto da quello pregresso dei singoli paesi, che resterebbe responsabilità nazionale», anche se una parte potrebbe entrare in una gestione comune «ad esempio attraverso un fondo di ammortamento». In questo modo si vuole finanziare in maniera strutturale lo schema europeo anti-disoccupazione «Sure» o il «Next Generation EU» che per ora resta una politica di emergenza.

Capitolo licenziamenti, sostegni straordinari da non ritirare subito e politiche sociali di natura occupazionale e non universale. «È certo che verrà meno lo stimolo, in parte artificiale» garantito da politiche macroeconomiche straordinarie ed eccezionali – ha detto Visco – Cesseranno quindi il blocco dei licenziamenti, le garanzie dello Stato sui prestiti, le moratorie sui debiti». Ne consegue che se resta «necessario mantenere il sostegno a chi perde il lavoro», diventa urgente ripensare gli interventi perché «siamo ancora lontani dalla definizione di un moderno sistema di politiche attive, in grado di accompagnare le persone lungo tutta la vita lavorativa». Quello delle «politiche attive del lavoro» è un rimedio giudicato miracoloso dalle classi dirigenti italiane per tenere occupati disoccupati, poveri e precari, va relativizzato. Si tratta di un sistema di Workfare collegato al cosiddetto «reddito di cittadinanza» mai entrato in funzione. Non è chiaro come, allo sblocco dei licenziamenti, potrebbe partire un sistema per la cui messa a punto ci vorranno anni. Sempre che il lavoro ci sia e non sia ancora più precario. Può accadere, nel paese del Jobs Act. C’è solo da augurarsi che non saranno applicare le feroci norme sulla mobilità e l’obbligo al lavoro gratuito previste dalla legge sulle politiche attive.

«È fuorviante la contrapposizione tra Stato e mercato, che sono invece complementari – ha detto Visco – La recessione ha ridato centralità all’azione dello Stato», ma «non bisogna confondere la necessità di uno Stato più efficace nello svolgere le funzioni che già ora gli sono affidate con quella di estenderne i compiti». Dunque, nessun «ritorno dello Stato» che non sia quello di assicuratore e riparatore dei danni della pandemia che ne ha rivelato i limiti e gli effetti dei tagli alla sanità e al Welfare, Questo è accaduto perché c’è stata una politica che ha fatto esondare il «mercato» dall’equilibrio evocato da Visco. Si esce dal peggiore crollo del Pil dalla seconda guerra mondiale con una ripresa che potrebbe superare «il 4%», ripristinando l’ordine economico precedente. Del resto «resilienza», concetto alla moda nella politica italiana, significa adattarsi a ciò che accade e non cambiare direzione.