Non sono rosee le previsioni sull’economia italiana da parte del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, a causa soprattutto dell’incertezza del quadro politico. Incertezza che proprio in questi giorni ha fatto risalire lo spread, il differenziale dei nostri titoli di stato con i bund tedeschi, facendoci superare in affidabilità perfino dall’inguaiata Spagna, mentre anche dall’Istat arriva la conferma che la tanto attesa (e annunciata) ripresa per il momento si allontana: l’Italia è sempre in recessione.

Per l’economia italiana, secondo Visco, «ci sono rischi al ribasso aggravati dalle preoccupazioni degli investitori sulla possibile incertezza politica», ma complessivamente il Paese sta mandando «segnali» del fatto che la «recessione sta terminando». «I tempi e la forza della ripresa sono ancora altamente incerti», aggiunge il governatore.

Ma la ripresa, secondo l’Istat, è sempre più lontana. Nonostante i richiami all’ottimismo da parte del governo, nel secondo trimestre del 2013 il Pil è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e del 2,1% nei confronti del secondo trimestre 2012. L’Istat ha rivisto al ribasso la stima preliminare diffusa il 6 agosto quando era stato rilevato un calo congiunturale dello 0,2% e tendenziale del 2%.

La variazione acquisita del Pil per il 2013 è pari a -1,8%: e la situazione continua a peggiorare. A marzo il dato era all’1,5%, rivisto all’1,6% a giugno, poi all’1,7% a inizio agosto, quando il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, pronosticava la fine della recessione; e, infine, tagliato ancora ieri. Confermato, inoltre, che il secondo trimestre 2013 è stato l’ottavo consecutivo in calo.

E gli altri stati, già lo sappiamo, sono messi meglio di noi: per loro la recessione è già finita, per quanto non godano certo di riprese robustissime. «Nel secondo trimestre – riferisce l’Istat – il Pil è cresciuto in termini congiunturali dello 0,7% in Germania e nel Regno Unito, dello 0,6% in Usa e Giappone e dello 0,5% in Francia. In termini tendenziali, si è registrato un aumento dell’1,6% negli Usa, dell’1,5% nel Regno Unito, dello 0,9% in Giappone, dello 0,5% in Germania e dello 0,3% in Francia. Nel complesso, il Pil dei paesi dell’area euro è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente ed è diminuito dello 0,5% nel confronto con lo stesso trimestre del 2012».

Analisi con molte ombre e poche luci, che trovano conferma nei dati pubblicati ieri dalla Confesercenti: secondo l’associazione di commercianti la recessione è verso la fine, ma la modesta crescita nel 2014 (Pil previsto a +1%) non basterà a creare posti di lavoro (-0,2%). Si tratta di una «ripresina» fragile e incerta: anche nel corso del prossimo anno gli occupati continueranno a scendere (-0,2%), mentre il tasso di disoccupazione toccherà quota 12,8%, ben il 2,1% in più rispetto al 2012.

Dato in apparente contro tendenza, l’apertura di nuove partite Iva: a luglio, secondo il ministero dell’Economia, ne sono state aperte 41.192, cioè +2,9% in più rispetto allo stesso mese dello scorso anno e +4,4% rispetto al mese di giugno. Il problema è che molte di queste partite Iva, come ipotizza il segretario del Nidil Cgil Roberto D’Andrea, possono essere fasulle, ovvero indotte dalla crisi, che porta tanti disoccupati a «fingersi» ditta individuale per farsi assumere low cost da imprese «furbette».

Infine la questione spread, molto influenzata, come detto, dall’incertezza politica e la condizione traballante del governo guidato da Enrico Letta. Ieri la differenza di rendimento tra btp italiani e bund tedeschi è calata leggermente, a 250 punti, per un rendimento del 4,52%. Ma lo spread della Spagna, che già due giorni fa aveva azzerato il gap dopo un inseguimento lungo 18 mesi, è ora addirittura più basso: 247 punti e cedola al 4,5%. Il mercato già guarda all’emissione di Btp in programma domani, quando magari – la notte forse potrà dire qualcosa – sarà anche più definita la partita politica.